IL CORAGGIO DI NON CHINARE LA TESTA
“Avevo paura perché mettevo in pericolo i miei cari e i miei dipendenti, ma avevo sempre vissuto onestamente, non potevo cedere. Non avrei dato soldi a chi vive del lavoro degli altri”
“Da quando ho denunciato chi mi chiedeva il pizzo, in tanti mi considerano un traditore. C’è sempre chi ti insulta perché pensa che i camorristi siano i buoni, ma lo avevo messo in conto e non mi sono mai pentito di ciò che ho fatto”. Ad affermare ciò è Salvatore Cantone, quarantanovenne: dirige una società di impiantistica industriale con cantieri dislocati sul territorio nazionale. Vi profonde massimo impegno, lavorando dalle sei del mattino fino a sera. Mi trovo nel suo ufficio di Pomigliano d’Arco, città nella quale, come nelle altre dell’hinterland napoletano, è usuale pagare il pizzo, regola imposta dalla camorra. Se ci si sottrae, si subiscono ritorsioni e si ricevono minacce di morte. Ma Cantone si è ribellato alla protervia camorristica, mostrando, pur in presenza di notevoli difficoltà, coraggio e determinazione.
“Avevo cominciato un percorso di fede (nel Movimento dei focolari – ndr) che si rifletteva sul mio modo di vivere. Non potevo cedere – racconta l’imprenditore – non avrei potuto guardare in faccia le mie figlie. Nel 2005 arrivò la prima richiesta di pizzo: 20 mila euro l’anno per le famiglie di camorristi. Mi opposi, però in parte cedetti, pagando 1500 euro. L’anno seguente arrivarono altre richieste. Ma stavolta ero deciso: non avrei dato soldi a chi vive del lavoro degli altri. Iniziarono le estorsioni: in azienda furono rubate attrezzature per un valore di 100.000 euro. Dopo aver parlato con mia moglie e le mie figlie, decisi di sporgere denuncia. Avevo paura perché mettevo in pericolo i miei cari e i miei dipendenti, ma avevo sempre vissuto onestamente, non potevo cedere”.
Non mancarono coloro che esercitarono su di lui pressioni psicologiche per spingerlo a ritirare la denuncia, ma egli, sostenuto dal suo parroco don Peppino Gambardella e dalla moglie, fu irremovibile, fino a cacciare fuori casa un parente che lo voleva a tutti i costi convincere a piegare la testa. Con l’aiuto dell’associazione antiracket di Tano Grasso affrontò il processo, nel quale ai suoi estorsori fu inflitta una condanna esemplare. Insieme con don Peppino e con diversi imprenditori e cittadini coraggiosi ha fondato nel 2006 l’associazione antiracket “Pomigliano per la legalità”. “Oltre ad essere Presidente di questa Associazione” – prosegue – “sono anche consigliere del direttivo nazionale della FAI (Federazione delle associazioni antiracket e antiusure italiane ), membro della segreteria e componente del direttivo del coordinamento dell’associazione antiracket e antiusura campana. L’aiuto che l’Associazione di Pomigliano offre alle vittime del racket e dell’usura che hanno deciso, denunciando, di non sottomettersi ai soprusi della criminalità organizzata è prima di tutto psicologico e morale: non facciamo sentire soli coloro che si rivolgono a noi, perché da soli non riusciranno mai a sopportare tutte le pressioni ( sia psicologiche che fisiche ) che ricevono dalla camorra per ritirare la denuncia. Inoltre, li assistiamo legalmente, mettendo a loro disposizione il nostro ufficio legale; se le ritorsioni hanno causato danni economici, aiutiamo i nostri assistiti a inoltrare domanda al fondo di solidarietà ( legge 44/99 per il racket e legge 108/96 per l’usura, ma solo se è stata sporta denuncia). “Per il racket” – precisa Cantone – “la somma che si riceve è a fondo perduto, mentre le vittime dell’usura hanno la possibilità di accedere a un mutuo da restituire a condizioni favorevoli. Svolgiamo, infine, molta attività di prevenzione per combattere il fenomeno del racket e dell’usura con incontri nelle scuole, nelle parrocchie e nelle varie realtà associative”. Ad una mia precisa domanda, l’Imprenditore risponde che dalle notizie in possesso dell’Associazione risulta che nella città di Casoria e nelle zone limitrofe è molto diffuso il fenomeno estortivo e dell’usura, ma non ci sono persone che denunciano e ciò è grave.
“Signor Cantone” – gli chiedo – “immagini di trovarsi di fronte a tanti operatori commerciali che pagano il pizzo per quieto vivere. Con quali argomentazioni cerca di convincerli a superare la paura e a denunciare le estorsioni che subiscono”? Ecco la sua risposta ferma e immediata: “Prima di tutto racconto la mia esperienza; spiego che conduco una vita normale come tutte le persone del mondo (vado in giro senza scorta) dopo la denuncia, ma questo accade perché faccio parte dell’Associazione dove non sono solo. Inoltre ho ancora la mia azienda e non è di proprietà della camorra”