Antonio Manfredi, direttore del Cam: “Io, in Turchia, spettatore involontario del golpe”

 

Abbiamo vissuto momenti di massima tensione. Ci hanno fatto tornare nei nostri alloggi e imposto il coprifuoco. Fino alle 5 del mattino, non eravamo ancora sicuri del destino di questo Paese”.

Parole di un italiano in Turchia. Un napoletano, precisamente. Antonio Manfredi, artista e direttore del Cam, museo di arte contemporanea a Casoria è ad Isparta, nella parte sud-occidentale del Paese. Una città lontana dagli scontri di Istanbul e Ankara: “Ma l’eco del golpe si è sentita anche qui – conferma Manfredi attraverso una gracchiante telefonata via Facebook – soprattutto quando la situazione è iniziata a capovolgersi a favore di Erdogan. E anche oggi, cittadini e forestieri non possono lasciare il centro urbano, né muoversi con libertà”. Questa la sua testimonianza. Proseguiamo con ordine. Manfredi è in Turchia per lavoro dall’8 luglio: partecipa ad un workshop dell’università di Isparta, assieme a colleghi e docenti provenienti dal resto d’Europa e da altre parti del mondo.


“Fino a ieri la situazione era tranquilla – dice –  Poi, il caos”. Intorno alle 22 di venerdì 15, il direttore del Cam ed il resto dello staff accademico sono nei loro alloggi. Cena appena conclusa, qualche televisore acceso, uno sguardo a internet, prima di concludere la giornata. “All’improvviso la città si è svuotata: la polizia girava per le strade intimando tutti di restare a casa. Siamo stati catapultati da un momento all’altro in un clima da coprifuoco”.

Iniziano le prime tensioni tra forze dell’ordine lealiste ed i militari dell’esercito, autori del colpo di Stato. “Per diverse ore – prosegue Manfredi – i soldati hanno girato armati per la città. Ma non ci sono stati, fortunatamente, scontri o incidenti: io osservavo la scena da dietro le finestre, ancora un po’ frastornato per quel che stava accadendo”. L’accesso ai social network viene staccato: l’unico mezzo di informazione, per qualche ora, è soltanto la Tv. “Alcuni amici hanno tradotto per noi quel che veniva spiegato ai telegiornali: dagli spari contro il Parlamento, all’occupazione della tv di Stato. Sembrava, in un primo momento, che per Erdogan fosse finita. Tra i colleghi turchi,

nemmeno quelli più avversi alla politica del presidente sembravano felici di ciò che stava avvenendo: ‘Sappiamo che i militari sono i garanti ultimi della Costituzione – mi spiegavano – Ma cosa succederà se l’esercito dovesse prendere il controllo del Paese?’”.

Poi, sempre nel giro di pochi minuti, tutto cambia, ancora una volta. E, almeno ad Isparta, la cosa succede grazie ad una mossa precisa, sempre stando alla testimonianza di Manfredi. “Dai minareti – dichiara – hanno iniziato a trasmettere in viva voce e continuamente il messaggio di Erdogan al popolo turco: quello di scendere e manifestare contro i soldati che illecitamente toglievano il potere a chi era stato democraticamente eletto”.

Il messaggio viene recepito subito: “Moltissimi cittadini, con la bandiera tura in mano, hanno invaso le strade, le piazze, verso le moschee: la tensione è aumentata, ma non è mai esplosa. Non abbiamo mai avuto realmente paura, forse anche per la velocità degli eventi, ma certamente avvertivamo il pericolo: come di una scintilla che si avvicina pian piano alla dinamite”. Centinaia di uomini e donne marciano verso i soldati. Anche Manfredi scende, scattando qualche foto col suo telefonino. Sembra una manifestazione della pace, invece il gruppo punta verso i militari.

“Che, immediatamente, vedendo il popolo avvicinarsi, ha abbassato le armi. Non ho sentito un solo colpo sparato. Forse ha prevalso il buon senso, di fronte al rischio di un enorme spargimento di sangue”. Il resto è storia. Poco dopo le 5, il golpe è dichiarato ufficialmente fallito, col ritorno di Erdogan. Il giorno dopo, l’atmosfera in città è ancora incerta. “Le comunicazioni continuano a saltare di tanto in tanto – conclude Manfredi – ci proibiscono di prendere gli autobus per andare verso altre città. Di solito ci spostiamo quotidianamente verso la vicina Adalia per il workshop, ma non possiamo muoverci, per ora. E, soprattutto, ci viene chiesto di tenere informate le autorità se

dovessimo notare qualche atteggiamento sospetto. Insomma: si teme l’attacco di alcuni golpisti ancora intenzionati a non arrendersi”.

Manfredi tornerà in Italia il 22 luglio: “Ancora non so come: qui l’aeroporto è ancora chiuso, ma la situazione sembra tornare, lentamente, alla normalità”.

Rimane il fatto di esser stato testimone di una notte che in Turchia non sarà dimenticata e che, si spera, non venga vendicata con orrende rappresaglie. “Una cosa mi ha colpito – così Manfredi conclude la sua testimonianza – Erdogan non ha perso, grazie all’intervento diretto dei capi religiosi. Almeno qui. Fino a quando il popolo non è stato chiamato a raccolta dai megafoni dei minareti, la situazione sembrava sotto il totale controllo delle forze militari”

Paolo De Luca di “Repubblica”

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