‘i RACconti tornano’ di Emilia Sensale. Foto: Stazione di Dazio (Cumana) nel quartiere di Bagnoli, Napoli.
La notizia dell’omicidio si era diffusa velocemente per tutta Napoli e da tempo la città non parlava d’altro. Chi si occupava del caso si sentiva braccato più di quanto fossero riusciti a far sentire in trappola l’assassino, tutti chiedevano che fosse preso al più presto per dare giustizia a quella povera vittima. Il chiacchiericcio, ben sentito ai bar di ogni quartiere, si divideva tra chi avesse paura che fosse il primo passo di un serial killer e chi amava ciarlare in maniera spensierata dell’accaduto, con la verve del più grande appassionato lettori di romanzi gialli.
La signora Maria era abitudinaria anche nelle sue stranezze. Abitava in uno dei palazzi di Via Tarsia e, benché si lamentasse spesso della sua condizione di donna anziana e sola, non amava molto gli animali e non desiderava riempire le sue giornate con un cane o un gatto, anzi, affermava di non considerarsi adatta a quel ruolo e considerava gravoso l’impegno di prendersi cura di un animale domestico. Maria amava i viaggi, amava spostarsi: la pensione non le permetteva chissà quali mete e allora riempiva il suo tempo organizzando gite nei posti che poteva raggiungere coi treni o partecipando a escursioni in bus organizzate da associazioni, chiese e gruppi di anziani suoi amici.
Abitando a pochi passi dalla stazione di Montesanto, la signora non perdeva occasione per prendere qualche treno, specialmente la Cumana. Andava spesso a Bagnoli o a Pozzuoli, ma nel convoglio non stava comodamente seduta. Maria faceva una cosa per la quale era conosciuta da tutti coloro che salivano abitualmente sul treno e che era arrivata fin nel quartiere della Pignasecca grazie al passaparola, un’abitudine che dopotutto non dava fastidio a nessuno ma che sicuramente era una stranezza. Maria saliva sul treno, magari trovava anche un posto a sedere ma dopo poco si alzava e si avvicinava alle persone sorridendo, ricordando loro l’importanza di obliterare il biglietto a ogni partenza. Finito il giro del vagone dove stava, a ogni fermata scendeva alla stazione ma per entrare nel vagone successivo dove proponeva il medesimo invito: percorreva così tutto il treno fino alla fine, scendendo poi col sorriso alla meta desiderata. La sua non era una presenza invadente e non si preoccupava di come fosse beffeggiata dai giovani studenti che prendevano il treno, insensibili di fronte all’invito che faceva ai ragazzi di stare attenti quando andavano sul motorino, di indossare sempre il casco o la cintura in auto. C’era un motivo alla base di tutto questo: suo figlio Marco aveva avuto un incidente… ma non era morto, anche se la signora raccontava così. Molti affermavano che Maria si inventasse la morte del figlio perché Marco da alcuni anni lavorava in un’altra regione dove aveva costruito una sua famiglia e neanche nelle feste di Natale e di Pasqua veniva a far visita alla madre, allora l’anziana probabilmente preferiva pensare che il figlio non ci fosse più, non riuscendo ad ammettere un abbandono da parte sua giustificabile o meno.
Maria era stata trovata morta nel penultimo vagone della Cumana. Quel giorno era scesa come sempre con la sua maglietta marrone, i capelli grigio scuro e riccioluti corti che le formavano una specie di folto cespuglio sulla testa, due vistosi orecchini d’oro che l’assassino non prese dopo l’omicidio, particolare che colpì subito gli investigatori che si occupavano del caso e i giornalisti che scrivevano gli ultimi sviluppi sul giornale. Occhiali spessi sul naso, rossetto rosso fuoco, gonna lunga nera e borsa bianca che poco si intonava con il resto. Nulla di nuovo c’era nel suo aspetto, nulla era stato sottratto dalla borsa, ma la stranezza che aveva messo in confusione gli inquirenti. Le telecamere della stazione parlavano chiaro, anche se le immagini non erano nitide, ma c’era la conferma di un testimone: la signora Maria aveva come sempre effettuato l’ultimo cambio di vagone, eppure era stata trovata nel penultimo tratto del treno. Si chiedevano tutti perché fosse tornata indietro e perché, come testimoniavano le telecamere, non fosse uscita dalla porta classica ma riuscendo a oltrepassare il vetusto passaggio interno. Il guaio fu che proprio in quel frangente c’erano ben pochi passeggeri, una fortuita coincidenza per il killer che sembrava aver avuto una sorta di dono del destino o che fosse riuscito a effettuare un raffinato calcolo aiutato dalla fortuna.
Passavano i giorni, le settimane, i mesi. Gli interrogatori delle persone rintracciate dopo aver visualizzato il materiale delle telecamere delle stazioni non avevano dato grandi frutti, per assurdo non si notavano persone sospette tra le sagome riconoscibili nei vari video. I sospetti caddero sulla coppia di giovani che avevano scoperto il cadavere, ma ben presto la pista si rivelò senza futuro, in mancanza di un movente e avendo appurato che i ragazzi non fossero coinvolti nella faccenda. Spesso le televisioni locali e nazionali lanciavano servizi in diretta da Montesanto o da altre stazioni della Cumana e molte erano le ipotesi che viaggiavano di bocca in bocca nella popolazione napoletana.
L’assassino fu scoperto per caso e lasciò tutti di stucco. Importante fu una soffiata di un clochard che arrivò alla polizia assicurando di aver ricevuto una confidenza dall’assassina mentre era ubriaca. Assassina, sì: era una donna. Una senzatetto, venditrice abusiva di accessori di vario genere, che cambiavano ogni giorno a seconda degli affari e delle occasioni dettate dal calendario, che girava spesso per la Cumana per cercare di vendere qualcosa stando attenta a non farsi scoprire. Messa alle strette, confessò. Aveva ucciso la signora Maria perché litigavano spesso sul treno: non solo non le dava mai l’elemosina ma addirittura ad alta voce la ingiuriava davanti agli altri passeggeri, minacciando di farla arrestare. Una volta che la signora scese alla stazione di Dazio nel quartiere di Bagnoli, probabilmente per fare una passeggiata, la trovò intenta a dare da mangiare ad alcuni gatti sulla scogliera de lungomare lì presente e non perse occasione per deriderla, commentando con una certa acidità il fatto che non capisse cosa ci trovasse di bello nel dare da mangiare ai gatti randagi e che fosse una donna sporca che stava imbrattando gli scogli per nutrire degli animali. Il volto dell’assassina finì su tutti i giornali, decine di trasmissioni televisive ne parlavano e molti opinionisti si dicevano poco convinti della confessione e della ricostruzione. La senzatetto aveva accoltellato la signora nel penultimo vagone, era stata un’azione di rabbia a seguito di un litigio scaturito dopo che l’assassina volesse solo minacciare Maria col coltello sperando di farle paura e di non essere più derisa in futuro. Non aveva trasportato il cadavere, la signora aveva reagito con coraggio alla minaccia mentre l’omicida aveva avuto un momento di indecisione e aveva deciso di allontanarsi. L’anziana l’aveva inseguita urlando mentre lei si spostava dall’interno nel penultimo vagone, una mossa che se evitata forse avrebbe permesso a Maria di non perdere la vita.
Col tempo, nessuno più parlò dell’omicidio della signora Maria. L’unico ricordo è legato alle gesta di un’associazione che si occupava di difesa degli animali randagi che con una discreta puntualità si recano presso la stazione di Dazio per dare da mangiare ai gatti tanto amati dall’assassina.
Emilia Sensale