QUEL SORRISO DI PAOLO
23 Maggio 1992: uccisi dalla mafia Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli uomini della sua scorta nella strage di via Capaci; 19 luglio dello stesso anno: sterminati in un altro attentato, in via D’Amelio, Paolo Borsellino con i membri della sua scorta: Emanuela Loi, Walter Cusina, Vincenzo Li Muli, Agostino Catalano e Claudia Traina. Lo scrittore Andrea Camilleri ha paragonato quanto accadde nella primavera- estate 1992 a ciò che è avvenuto a New York l’11 Settembre 2001 con l’abbattimento delle due torri gemelle. Con la spietata esecuzione dei due Magistrati siciliani, infatti, furono crudelmente abbattute le due torri della lottagiudiziaria alla mafia.
Casoriadue.it, nel 19esimo anniversario della morte di Borsellino, ha pensato di renderGli un dovuto omaggio riportando stralci di un intervento della sorella Rita richiestole da studenti di una scuola superiore di Lucca. E’ un modo per dare anche noi (Direttore e tutto lo staff redazionale), con la rievocazione di una fulgida figura istituzionale, un contributo alla cultura della non rassegnazione e della alternativa alle mafie e per esprimere la nostra solidarietà a tutte le vittime del sistema mafioso; a quanti hanno sacrificato la loro vita nel compimento del loro dovere; a quanti subiscono ricatti di vario genere, estorsioni, usura e sono schiavi della droga; a quanti come don Ciotti e gli aderenti a Libera, lottano quotidianamente per una cultura diversa.
… Proprio l’ultimo giorno della sua vita, il 19 Luglio 1992, la mattina, Paolo risponde a una lettera che gli avevano mandato degli studenti di una scuola superiore di Padova, che, fra l’altro, lo rimproveravano perché non era andato a un incontro…Paolo non era andato in quella scuola perché intanto era morto Giovanni Falcone ed era un periodo abbastanza difficile per lui. Quella mattina risponde alla lettera e, permettetemi di fare una piccola osservazione, è strano che Paolo quella mattina risponda a quella lettera: siamo a metà Luglio, la lettera degli studenti era arrivata nel mese di Maggio; la risposta ormai non sarebbe arrivata agli studenti se non nel Settembre, Ottobre successivo. Eppure Paolo, fra le tante carte che ha sulla scrivania quella mattina, chissà perché, prende proprio quella lettera e risponde a questi studenti. Erano delle domande piuttosto tecniche quelle che gli ponevano…però c’è una frase che Paolo scrive in quella lettera, che è rimasta il suo testamento spirituale per voi, per tutti i ragazzi giovani…Paolo dice: “Sono ottimista”. Pensate, dopo qualche ora lo uccideranno; e Paolo ha una grande consapevolezza di questo: non del fatto che lo uccideranno quel giorno, sicuramente no, ma lui sapeva di essere ormai la vittima designata dopo Giovanni Falcone. Sapeva e aveva anche dei segnali, ne aveva parlato anche con qualcuno (noi questo lo sapremo dopo) che la sua vita stava per finire. Eppure Paolo dice: “Sono ottimista”. E lo dice con grande sincerità, perché lo motiva. Dice: “Sono ottimista perché so che questi giovani avranno domani una consapevolezza ben diversa dalla colpevole indifferenza che io mantenni fino a quaranta anni”. Pensate un po’, si rimprovera il fatto che fino a quaranta anni lui non si era occupato di mafia…Paolo non diceva mai: “Se un giorno mi ammazzeranno. Lui diceva: “Quando un giorno mi ammazzeranno”…Aveva tre figli, quanti i miei. Non potere andare a fare una passeggiata , andare al cinema insieme, andare a prendere un gelato; sentire la propria figlia più piccola dire a suo padre: Non accompagnarmi a scuola, perché mi vergogno ad arrivare con la scorta”. Quelle cose che stravolgono la semplicità della vita di tutti i giorni e che pure sono necessarie e bisogna accettarle e conviverci. E Paolo aveva imparato a conviverci, con quella sua grande capacità di comunicare con gli altri, con la sua grande capacità di mettere in gioco la sua carica affettiva; la sua capacità di guardare all’altro, guardando prima di tutto l’uomo, la donna che gli stavano davanti…Voglio dire un particolare: tre dei cinque che sono morti con Paolo avevano chiesto di entrare a far parte della sua scorta dopo l’uccisione di Falcone. Sapevano di correre rischi grandissimi, ma volevano farlo, perché ritenevano la vita di Paolo più importante della propria. Io credo che questo sia un gesto veramente sublime, proprio sublime, di generosità, di senso del dovere, di senso delle istituzioni…Emanuela Loi era stata assegnata alla scorta di Paolo soltanto tre giorni prima e quando Paolo l’aveva vista, questa ragazza sarda bellissima, bionda, bella come il sole, le aveva sorriso, l’aveva abbracciata e le aveva detto: “Ma tu devi proteggere me? Sono io che devo proteggere te! Era questo il rapporto umano che si creava…Morirono abbracciati a lui. E ci hanno fatto un regalo straordinario, perché non sono riusciti nell’intento di salvare la sua vita, ma hanno salvato forse la cosa più preziosa di Paolo:ci hanno regalato la possibilità del ricordo del suo sorriso…Questi ragazzi, proteggendolo col proprio corpo, hanno permesso che il suo viso venisse meno offeso dall’esplosione e sul viso di Paolo rimase questo sorriso…E’ difficile capire il senso della morte davanti a un fatto, a un evento così violento…era un fatto che disorientava completamente. E io, istintivamente, girai le spalle a tutto questo; girai le spalle e dissi, proprio dissi, ai miei figli: “Io non ci voglio più tornare qui!” E mio figlio, mio figlio, che aveva 23 anni, mi prese per le spalle e mi scosse; mi disse: “Mamma, ma tu sei pazza; noi dobbiamo restare in questo luogo, perché è un luogo da custodire”. E quel sorriso rimasto sul volto di Paolo mi ricollegò alla vita, mi ricollegò alla terra, mi fece capire che “dopo” ci poteva essere ancora qualcosa. Quello era un luogo sacro, e Paolo, sorridendo, in qualche modo ci mostrava che valeva ancora la pena di vivere questa vita; che anche nel momento della morte si può sorridere, se veramente ne vale la pena. E io non sono rimasta in via D’Amelio…perché non volevo dimenticare- perché non avrei dimenticato sicuramente, non avrei mai potuto dimenticare- sono rimasta lì, perché volevo “fare memoria”. Ed è diverso. Volevo fare in modo – me lo insegnò mio figlio in quel momento – che gli altri non dimenticassero; che gli altri, che correvano il rischio di dimenticare – perché era già successo tante volte- non dimenticassero. E mi assunsi il compito, in qul momento, di portare avanti la memoria di Paolo; la memoria di Paolo in tutti in sensi…Ho cominciato e ho continuato a parlare di Paolo come una persona normale, perché era una persona assolutamente normale che aveva fatto scelte difficili nella sua vita e che aveva poi deciso di portare avanti , nonostante i rischi e i pericoli che tutto questo comportava. Delle scelte di coerenza, delle scelte di valori, qualcosa che oggi sembra fantascienza; oggi sembra appartenere a qualcosa che non ci appartiene. Ecco, io vorrei…che davvero ci fosse quell’entusiasmo che Paolo aveva, che aveva quando era ragazzo e decise di studiare giurisprudenza e di fare il magistrato, perché voleva non amministrare la legge, non amministrare la giustizia: LUI VOLEVA VIVERE LA GIUSTIZIA e voleva che tutti la potessero vivere allo stesso modo, tutti avessero gli stessi diritti; che tutti fossero tutelati allo stesso modo davanti all’ingiustizia o davanti alle prepotenze di quelli che, come i mafiosi, con la forza, con la paura, con l’intimidazione, volevano imporre la propria volontà…Quando sento dire ai ragazzi: la politica è una cosa sporca, mi viene da piangere, credetemi, mi fa male, proprio mi fa male. La politica, che è il servizio più alto che si può fare agli altri, alla società, il mettere le proprie capacità a disposizione degli altri, oggi viene considerata una cosa sporca, perché ci sono delle persone che l’hanno sporcata. Io ricordo il rispetto straordinario di Paolo per il valore delle istituzioni. L’istituzione è sacra, l’istituzione non può essere sporca o bacata Lui diceva tante volte: ci sono degli uomini che ABUSIVAMENTE OCCUPANO LE ISTITUZIONI…