Settembre. Ricomincia la scuola e i mass media tornano, in questo periodo, a focalizzare l’attenzione, più che altro, sugli aspetti problematici della professione docente. Si pone in rilievo, in primis, la questione delle basse retribuzioni non equiparate a quelle della media europea e, a tal riguardo, non è affatto consolante sapere che per il rinnovo contrattuale, congelato scandalosamente da diversi anni, è previsto un aumento medio mensile, lordo, di 80 – 85 euro mensili; all’umiliazione economica vanno aggiunti uno scarso riconoscimento sociale degli insegnanti, una progressiva burocratizzazione del loro ruolo e una mortificazione della libertà d’insegnamento, con serie difficoltà a stabilire un rapporto educativo e relazionale costruttivo con ragazzi sempre più difficili; inoltre, da più parti si evidenzia che la riforma Renzi , pur nata con lo scopo di debellare il precariato, ha prodotto finora più situazioni di inammissibili criticità che vantaggi. Evviva la sincerità, una volta tanto; ecco la dichiarazione dell’ex Premier: “Il mio governo è quello che ha stanziato maggiori risorse pubbliche per la scuola, circa tre miliardi, ma abbiamo finito per scontentare tutti.” A rimetterci le penne, la Giannini, “capro espiatorio”, non riconfermata nel governo Gentiloni, sostituita dalla Fedeli al MIUR, ma lo stesso Renzi ha pagato amaramente il fallimento della “Buona scuola” (sic!), perché la sconfitta del referendum sulla riforma costituzionale è imputabile non poco anche allo scontento degli operatori scolastici.
Il quadro, come si vede, è sconfortante, eppure, sono convinto che, nella stragrande maggioranza, i docenti non si arrendono e mostrano, non poche volte, un entusiasmo encomiabile, impegnati in una sorta di rivincita personale e professionale più forte di tutte le difficoltà (tra cui anche quelle strutturali), con le quali si devono misurare giorno per giorno. Non è campata in aria questa mia opinione: qualche anno fa, un sondaggio rivelò che il 78% sceglierebbe di nuovo l’insegnamento, con motivazioni che riguardano, nell’ordine, il rapporto con gli studenti, la passione per l’insegnamento, la possibilità di essere creativi, il rapporto con i colleghi. Come a dire, che, sì, ci sono le difficoltà, ma esse sono superate dalla passione per l’educazione e dal desiderio di costruire.
Non è, allora, sbagliato affermare che quello dell’insegnamento sia uno dei mestieri più belli, soprattutto perché, a mio avviso, ha a che fare con l’umano, con ciò che abita le profondità della mente e del cuore. Per questo, benché sul mondo scolastico se ne dicano di cotte e di crude, sono moltissimi i giovani che, in questi anni, hanno partecipato alle selezioni per accedere ai TFA (Tirocini Formativi Attivi). “Solo per trovare un posto, uno qualunque, purché non si resti disoccupati”, qualcuno potrebbe commentare amaramente, ma in molti casi sono persone motivate da quella voglia e passione per l’educazione c
he è il cuore dell’insegnare. Personalmente, alcuni maestri hanno orientato la mia vita professionale, quelli che, ogni giorno, sono stati, non dietro la cattedra, ma in mezzo ai bambini: da don Milani a Lodi, da M. B Alberti a Cesare Moreno, il maestro di strada, che ho avuto il piacere di conoscere e anche di intervistare. Docenti appassionati, dotati di una
cultura solida, di profonda sensibilità umana e sapienza pedagogica, i quali mi hanno insegnato che per educare BISOGNA SENTIRE E PENSARE IN GRANDE.
Certo, per una scuola al passo con i tempi, occorrono senz’altro le innovazioni metodologiche, le norme legislative, le nuove tecnologie: esse costituiscono, come dire, lo spartito, ma è l’orchestra che esegue la sinfonia. E l’orchestra siamo noi insegnanti, uomini e donne a cui viene chiesto di ritrovare dentro se stessi, malgrado e proprio a motivo di tutte le difficoltà, la passione educativa.