“La storia di come un intero villaggio, guidato da una bambina, ha salvato dai nazisti i suoi ebrei”
E’ possibile celebrare la “Giornata della Memoria, rievocando anche con i bambini un evento che ha sconvolto le coscienze di tutto il mondo per le atrocità inaudite subìte, oltre 70 anni fa, dal popolo ebreo? Non è una pagina “sconvolgente” della Storia che è preferibile non mostrare ai piccoli per i terribili misfatti umani successi? Come ben si sa, di tutto è possibile parlare con i ragazzini, occorre trovare la strategia pedagogicamente e didatticamente adeguata per affrontare con i fanciulli qualsiasi argomento e, dunque, anche un periodo del secolo scorso in cui il male personificato dai nazisti si è accanito con una crudeltà spaventosa su bambini, giovani, donne, uomini, anziani inermi.
Alla scuola primaria S. Mauro, segmento dell’I. C. 1° Ludovico da Casoria”, gli insegnanti delle classi terze hanno affrontato, Venerdì 26 gennaio, l’argomento in classe, proponendo ai loro alunni la lettura del testo “La Città che sussurrò”, scritto dall’autore danese Jennifer Elvgren. Utilizzando anche le efficaci illustrazioni di Fabio Santamauro, ai bambini è stata raccontata la storia di come un intero villaggio, guidato da una bambina, Annett, salvò dai nazisti i suoi ebrei. Lei sa dai genitori che nello scantinato della sua casa si nasconde una famiglia di ebrei e proprio alla bambina viene affidato il compito di portar loro da mangiare. Lei accetta volentieri,e, benché la cantina sia al buio completo, non si perde d’animo, perché procede in direzione dei sussurri degli ospiti che parlano fra loro con voce sommessa, giungendo sempre nel posto in cui si trovano. Così ha la possibilità di stringere amicizia con Karl, un bambino come lei. La famiglia di Karl è in attesa di una notte di luna piena per raggiungere il porto e fuggire in Svezia, ma le nuvole ogni sera la coprono, impedendo la fuga. Quando i soldati nazisti stanno sul punto di ispezionare la casa di Annett, a lei, sulla base dell’esperienza fatta in cantina di raggiungere l’amico Karl e sua madre al buio, viene in mente un’idea geniale per consentire loro di fuggire, coinvolgendo gli abitanti del villaggio, i quali superano la paura di una possibile rappresaglia da parte dei nazisti, spinti dalla forza del coraggio e da un ammirevole senso di solidarietà umana.
La storia si basa su una vicenda realmente accaduta in Danimarca durante la seconda guerra mondiale e ha fatto capire ai bambini che il male può non dominare se gli uomini vi si oppongono contrastandolo con atti di bontà; che dall’odio, dunque, è possibile che rinasca la speranza, la voglia di unirsi per far trionfare i sentimenti caldi di accoglienza gratuita, di amicizia sincera, come quella nata tra Annett e Karl. Questi offre alla sua cara amica l’unica cosa che ha, un sasso a forma di cuore, come a dire che anche in quella rigida durezza dell’ esistenza palpita nei loro cuori l’unico sentimento che rende la vita grande, unica, meritevole di essere vissuta: l’amore. Un amore che, al contrario della violenza e dei pregiudizi, non marca le differenze, ma fa scoprire nell’altro le qualità e i pregi, valorizzando ciò che unisce con la conoscenza vera dei nostri simili. Ed è così che “fare memoria” non diventa un atto ritualistico e formale, ma un impegno morale e sociale, a partire da quanto di orrendo è accaduto agli ebrei, agli zingari, ai disabili nei campi di concentramento, teso alla riaffermazione dei valori di solidarietà, di fratellanza universale, di compassione, di giustizia sociale, di misericordia. E’ vigilando su noi stessi, innanzitutto, che possiamo cominciare a ottenere la libertà dal male per compiere il bene. E’ così che, come scrisse Nazim Hikmet in una significativa poesia, “Nasceranno da noi uomini migliori. La generazione che dovrà venire sarà migliore di chi è nato dalla terra dal ferro e dal fuoco (in un mondo dominato dalla guerra, ndr). Senza paura e senza troppo riflettere i nostri nipoti si daranno la mano e rimirando le stelle del cielo diranno: “Com’è bella la vita!”…