Spicciole riflessioni sulla demagogia tra diavoli (politici) e acquasanta…

Nel 1963 Italo Calvino scriveva “La giornata di uno scrutatore” un romanzo che nasceva dallo sdegno dello scrittore di fronte a quanto visto  nell’ospedale di igiene mentale Cottolengo a Torino durante le elezioni del 1953. Durante la sua esperienza di candidato al Partito Comunista, Calvino aveva assistito all’indegno spettacolo dei malati del Cottolengo “indotti” a votare per la Democrazia Cristiana dai religiosi che curavano la gestione dell’ospedale. Questa era l’Italia del 1953: l’Italia che vedeva ancora il mostro del comunismo (“I comunisti mangiano i bambini!”) , l’Italia in cui la Chiesa aveva il suo dire in politica.

La citazione letteraria da Calvino ci serve un po’ come pretesto, uno spunto di riflessione per ragionare su quanto e fino a che

punto la Chiesa continui ad agire ed influenzare la politica.  Non è nostro compito compiere una retrospettiva storica sulle colpe e i meriti della Chiesa, proviamo a fare i giornalisti, non gli storici. Tuttavia cerchiamo di esaminare criticamente un fenomeno che nel Mezzogiorno ha ancora la sua validità.

 

Di certo sono finite le campagne propagandistiche anticomuniste del dopoguerra e sicuramente non si sentirà più dire dal pulpito o dall’oratorio “Vota ‘a roc’, sennò è peccato”, i tempi delle indulgenze e della demagogia cattolica dovrebbero essere finiti, per stessa penitente ammissione della Chiesa. Tuttavia i contatti “del terzo tipo” tra chiesa e politica sussistono ancora, sebbene opportunamente velati. L’affinità c’è ma è più sottile e si misura in simpatie, in spazi di visibilità concessi, in appoggi più o meno scoperti a candidature …

Innegabile che anche a sessanta anni di distanza i figli e ormai i nipoti di quella Democrazia Cristiana, prosperata anche grazie all’apporto della Chiesa,  siedono sulle poltrone dei Comuni, delle giunte e dei consigli con il loro bagaglio di concettualismo retrivo. A livello locale, almeno, è quanto mai palese, a dispetto degli sforzi di far emergere un volto alternativo della politica, progressista e laico.

Non è nostra intenzione negare un impegno civile agli ecclesiastici o alla Chiesa né tantomeno vorremmo cadere nel paradosso di affermare che politica e religione mal si conciliano. Sono passati sessant’anni e con essi anche i tempi di Don Camillo e Peppone.  Piuttosto il nostro è un invito ai cittadini di fare sempre appello alla propria capacità di critica e a ricordare ai diversi attori del teatro cittadino (politico ed clericale, chiaramente) di discernere sempre le differenti aree di competenza e i loro confini.

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