Non è il momento né di alzare la bandiera bianca né di fare i “processi”

Il Napoli ha perso velocità e brillantezza nel proporre la sua consolidata identità di gioco ma a Torino ha l’occasione di riaprire i giochi

 

Nonostante gli scandali che hanno più volte minato la sua credibilità, il calcio continua ad essere uno degli sport più seguiti al mondo perché è il regno dell’imprevedibile. In pochi credevano alla rimonta della Roma contro il Barcellona, quasi nessuno immaginava che la Juventus andasse sul 3-0 al “Bernabeu” sfiorando una delle imprese più clamorose della storia. Il calcio sfugge a tutte le sentenze espresse prima dei verdetti finali proprio perché è fatto di momenti, episodi che possono mettere in stand-by anche le analisi più scontate. Il Napoli è in calo nella sua produzione offensiva, ha segnato nove reti in meno rispetto ad un anno fa, undici gol in meno rispetto alla Juventus, ne ha realizzati soltanto sei nelle ultime sei partite (nelle prime sei giornate di campionato il “luna park” di Sarri bucò ventidue volte le porte avversarie) ma è stato a pochi centimetri da due successi che avrebbero cambiato la storia del campionato in corso con Milik protagonista: la traversa di Reggio Emilia e la parata di Donnarumma. Il Napoli, da quando ha perso il primato dopo la sconfitta contro la Roma, ha perso smalto, entusiasmo, non è riuscito più a reggere dal punto di vista mentale la pressione e il ritmo stressante di una stagione affrontata in larga misura sempre con gli stessi tre attaccanti, quel “tridente dei piccoletti” che ha fatto la fortuna degli azzurri per un anno e mezzo, la soluzione “made in Sarri” per risolvere la cessione di Higuain e gli infortuni di Milik. Visto che alcuni uomini-chiave sono in difficoltà, Sarri non potrebbe modificare la formazione titolare? E’ la domanda legittima che si fanno in tanti ma nel calcio non c’è democrazia, ci sono tanti tifosi ad avere la propria opinione e un solo allenatore che decide. Sarri non ha la gestione della rosa stile Allegri, infatti, ha sempre fatto fatica a reggere le tre competizioni, sceglie un blocco di titolarissimi e s’affida a loro, costruisce un rapporto di fiducia granitico che spesso porta i calciatori a mettere al servizio della squadra più delle loro potenzialità, così sono stati valorizzati Allan, Koulibaly, Albiol, Mertens, Jorginho, Callejon, giunti in alcuni casi a valutazioni decisamente superiori rispetto ai tempi in cui Sarri è arrivato a Napoli. Mertens si trascina, è uno scattista e dopo più di cinquanta partite non ce la fa più, non è assolutamente abituato ad una stagione da “titolarissimo assoluto”, senza alternative concrete per cinque mesi e mezzo, Sarri lo sa ma lo gestisce alternandolo con Milik. E’ una strategia, un modo di gestire le forze a sua disposizione e, in virtù degli investimenti compiuti, il lavoro di Sarri ha prodotto risultati fantastici, come dimostra la terza qualificazione consecutiva in Champions League e un sogno scudetto che, nonostante il disfattismo di un ambiente che, come la squadra, non è abituato a vincere, è ancora vivo. Non essere riusciti a gennaio a dare un’alternativa concreta al reparto offensivo azzurro è un errore gravissimo e naturalmente balza agli occhi dei tifosi in questo momento, quando si vede la differenza tra la Juventus che può tirar fuori dalla panchina Cuadrado e Douglas Costa e il Napoli che, invece, sbatte nelle difficoltà del proprio tridente ma non è il momento né di alzare la bandiera bianca né di fare i processi. E’ triste ascoltare i cori contro De Laurentiis quando la matematica ancora non condanna il Napoli. C’è ancora da combattere, non è il momento né di alzare la bandiera bianca né di fare i processi che potrebbero essere inopportuni ed eccessivi anche a fine stagione. Lo scontro diretto può essere l’occasione per ribaltare una storia che sembra già scritta.

 

Ciro Troise

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