L’occasione del venticinquesimo anniversario della morte di Don Pino Puglisi, ucciso barbaramente dalla mafia il giorno del suo compleanno, il 15 Settembre 1993, offre l’occasione per “fare memoria” del Suo nobile apostolato e riflettere sull’esigenza sempre più attuale di un impegno enorme a favore dei valori della legalità, del rispetto delle leggi, dell’onestà e della giustizia. Il prete – coraggio in terra di Sicilia fu eliminato con un solo colpo di pistola alla nuca, perché, togliendo i bambini dalla strada e accogliendoli nel Centro “Padre Nostro”, li sottraeva al reclutamento della mafia che nel rione Brancaccio, alle porte di Palermo, aveva da lungo tempo creato un vivaio di manovalanza criminale. Ma il suo assassinio, come ha scritto la giornalista Bianca Stancanelli nel libro “A TESTA ALTA” “fu soltanto il mostruoso epilogo di una lunga catena di incomprensioni, inadempienze e silenzi da parte di tutti: autorità politiche, gerarchie ecclesiastiche e perfino intellettuali “schierati”.
Diceva il parroco di Brancaccio: “La prima cosa da fare è rimboccarsi le maniche: aiutare il bambino, il preadolescente, possibilmente anche l’adolescente – il discorso pedagogico con il giovane e l’adulto è molto difficile. Dobbiamo agire per aiutarli ad avere un senso della propria dignità, della propria vita. Dobbiamo riuscire a far capire loro perché esistono, per che cosa vivono, ma senza fare discorsi filosofici. Il bambino di quelle famiglie (mafiose o conniventi, n.d.r.) capirà i gesti che si faranno: il gioco, la convivenza, intesi come modelli di comportamento. Il vedere che due adulti qui si trattano fra loro con molto garbo e rispetto dà loro la possibilità di osservare le cose in modo diverso. Così pure è importante, nel gioco, far loro vedere che ci sono regole da seguire, che non è giusto barare: nell’ambiente mafioso chi bara ha più consenso, perché esprime doti particolari, come la furbizia (…). Lo scopo della vita per le loro famiglie è guadagnare, a qualsiasi costo. Noi, invece, offriamo uno stile di vita diversa, una contropartita. Un volontario e una suora che vanno nelle loro case, con senso di solidarietà, di gratuità, di amore cristiano rappresentano una controproposta che potrà avere un’efficacia in seguito. Io credo a tutte le forme di studio, di approfondimento e di protesta contro la mafia (…), ma dobbiamo stare molto attenti a non fermarci alle proteste, ai cortei, alle denunce. Se ci si ferma a questo, sono soltanto parole. Le parole vanno convalidate dai fatti. L’azione dei volontari e delle suore del Centro Padre Nostro dev’essere un segno (…) per cercare di muovere tutto l’ambiente, per cercare di dare un modello di comportamento, per spingere le autorità a fare il loro dovere, perché tutti a poco a poco si sentano coinvolti; per dire : dato che qui non c’è niente, noi vogliamo rimboccarci le maniche per dimostrare che si può fare qualcosa. Se ognuno di noi fa qualche cosa, allora si può fare molto. Senza un gesto, senza la forza di un gesto, la parola è muta.
Sono trascorsi diversi lustri da quando Puglisi pronunciava questi discorsi: molto si è fatto, in termini di consapevolezza del fenomeno mafioso, di lotta alla criminalità organizzata, ma molto resta ancora da fare: purtroppo, la piovra della criminalità organizzata non ha cessato di penetrare i suoi micidiali tentacoli nel tessuto sociale, infettandolo e deteriorandolo con le “tossine “ velenose del sopruso, della violenza, della prepotenza. Essa continua ad accumulare le sue ricchezze con lo spaccio della droga, con il pizzo e lo strozzinaggio, con il gioco d’azzardo, le speculazioni in borsa,il commercio illegale delle armi e lo smaltimento dei rifiuti speciali e pericolosi Da diversi sondaggi effettuati in Campania emerge che la camorra continua ad esercitare su tanti ragazzi un fascino particolare, per la ricchezza e il potere facili da ottenere. Ciò che pure sconcerta è il successo, a Napoli e nell’hinterland , di gruppi di neomelodici che inneggiano alla vita avventurosa e alle imprese dei boss. Il modo efficace, allora, di contrastare le mafie è di operare in sinergia tra le Istituzioni. Don Puglisi fu ucciso, perché lasciato tremendamente solo; altrettanto tante vittime innocenti, tra cui Salvatore Nuvoletta, un carabiniere di Marano ucciso nel 1982 perché esigeva con rigore e coerenza, mostrando un ammirevole senso del dovere e dello Stato, il rispetto della legalità e fu ammazzato non prima di evitare che insieme con lui fosse colpito un bambino che teneva in braccio, salvandogli la vita. Gli fu consigliato di andare via da Casal di Principe, per le tante minacce ricevute, ma egli, ventenne, rispondeva che doveva rendere onore alla sua divisa lì dove maggiormente occorreva lottare per far trionfare la legge. Un bene confiscato alla famiglia Simeoli, legata al clan Polverino e Nuvoletta( solo omonimia con il cognome di Salvatore,n.d.r.), , è stato assegnato dal Comune di Marano, dopo apposita richiesta, a Enrico Nuvoletta, fratello di Salvatore, e ad altri familiari; essi, con sacrifici economici e impegno instancabile, lo hanno trasformato in fattoria sociale, dal nome “Nuvoletta per Salvatore” , che comprende uno spazioso terreno agricolo, depositi e aree dove sono allevate oche, galline, pecorelle e capre, oltre a un coniglio e all’asinella Pippa, mentre convivono beatamente insieme due cagnolini e un gatto; inoltre, un lotto del terreno è costituito da un vigneto che produce uno squisito “Falanghina Campi Flegrei DOC”, intitolato ad Attilio Romanò, giovane commerciante napoletano vittima innocente della criminalità organizzata. Proprio ieri sono stato ospite della Cooperativa sociale insieme ad amici ed amiche, ospiti di Enrico Nuvoletta, fratello del compianto Salvatore, e di altri familiari, i quali ci hanno spiegato che la Fattoria sociale organizza, tra l’altro, visite didattiche alle scolaresche con il fine di consentire a bambini e ragazzi di trascorrere ore salutari in un ambiente salubre, a contatto con la natura,di svolgere attività formative e ludico ricreative, acquisendo la consapevolezza che la legalità si pratica anche confiscando a persone dedite al male spazi costruiti con soldi guadagnati illegalmente per trasformarli in beni utili alla comunità.
Bregantini, quando era vescovo di Locri, regno incontrastato della Ndrangheta, ripeteva spesso: “Un filo da solo si spezza, intrecciato con altri diventa una fune che non si spezzerà mai”. La forza delle mafie, infatti, sta in tutto il mondo intorno, complice e omertoso, “che si fa i fatti propri”. Chi chiude gli occhi, non parla e non denuncia è già vicino alle mafie. Perciò, è importante parlarne, si evita, così, di fornire l’alibi a chi afferma di non sapere, di non conoscere. Certo, dal punto di vista militare, si sono sferrati colpi durissimi alle mafie , ma questi risultati non bastano, poiché esse crescono e prosperano in un humus favorevole, costituito da un certo tipo di cultura, che si alimenta di furbizie, di atti illegali, di piccole e grandi disonestà. L’educazione, allora, al rispetto delle leggi, alla responsabilità sociale, all’osservanza di regole condivise, al senso dell’onestà e della rettitudine, gioca un ruolo fondamentale per sottrarsi all’influenza malefica delle mafie. Occorre una legalità praticata, non solo predicata, gesti di rispetto verso l’ambiente, verso i beni comuni, di trasparenza etica; atti concreti, come hanno testimoniato fino al sacrificio della vita Don Puglisi, Nuvoletta, don Peppe Diana, Falcone, Borsellino e tante altre vittime innocenti.