Lo so bene: l’inizio di un nuovo anno scolastico, dopo la pausa estiva, benché non manchi mai qualche novità che suscita ansia, è sempre un periodo nel quale l’entusiasmo e la voglia di ricominciare con alta motivazione connotano l’atteggiamento di tantissimi insegnanti, pronti ad affrontare una nuova avventura educativa. Argomento di confronto di questi giorni è soprattutto, tra vari impegni concernenti l’aspetto organizzativo, la legge del 20/08/ 2019 relativa all’introduzione dell’insegnamento scolastico dell’Educazione civica, che, all’art. 1, tra i vari principi, pone in rilievo il contributo di detta disciplina alla formazione “di cittadini responsabili e attivi”, mirata, dunque, “a promuovere la partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità, nel rispetto delle regole, dei diritti e dei doveri”.
Non si può negare che il disimpegno morale, il discredito delle regole di convivenza civile, la perdita di senso della legalità concorrono a generare il clima di intolleranza, di odio e di disprezzo che caratterizza attualmente i rapporti sociali a tutti i livelli, alimentando comportamenti aggressivi e violenti. Occorre, perciò, porre mano a interventi sempre più efficaci per assicurare la composizione degli interessi, il superamento degli egoismi, la gestione della diversità per abbassare il tasso di conflittualità.
Certo, si sa che nelle società ad elevata complessità i modelli di comportamento non sono più veicolati, come accadeva un tempo, principalmente dalla famiglia e dalla scuola, ma la complessità non può costituire un alibi per le due fondamentali agenzie educative, al fine di giustificare la limitazione dei propri interventi, delegando ciascuna all’altra il compito di orientare i ragazzi verso i valori della convivenza civile. Famiglia e scuola, in un patto di corresponsabilità e di interazione costruttiva, hanno l’obbligo morale e civile di far sentire il proprio peso educativo nella crescita di personalità non condizionate da pregiudizi, capaci di confronto, consapevoli della loro memoria e tradizione, ma anche pluralisticamente pronte a riconoscere i valori di altre culture ed a comprendere il significato civilizzatore della solidarietà, unite nel comune intento di contrastare la violenza intesa nella sua accezione di “violazione” dei beni comuni, del diritto all’integrità psicologica e fisica, della dignità personale, delle regole in ogni ambito.
E’ sacrosanto guardare alla scuola come ad un luogo privilegiato di apprendimenti, al fine di sviluppare le competenze richieste per gestire e risolvere i problemi posti dai contesti in cui si vive, ma la capacità dell’ istituzione scolastica di presenza sociale e formativa sarà tanto più qualificata nella misura in cui saprà anche promuovere esperienze di solidarietà, di reciprocità, di relazioni significative, di educazione alla cittadinanza. Per tutto ciò, ogni anno già si attivano tantissimi dirigenti e insegnanti animati da passione umana e civile, ma il loro lavoro poche volte dalla società civile e dalle istituzioni politiche viene riconosciuto. Li si nomina solamente quando la scuola viene sollecitata a sensibilizzare gli studenti su ogni problematica sociale emergenziale: droga, bullismo e cyber bullismo, tutela ambientale, legalità, alcolismo, scarsissima abitudine alla lettura, ignoranza spaventosa.. Di tutto si deve occupare l’istituzione scolastica. Quanto, però, a investire di più su di essa con fondi non miserevoli, neanche a parlarne! L’Italia è il fanalino di coda in Europa, insieme a qualche altro Stato, riguardo alle risorse che si riservano allo sviluppo della cultura e agli stipendi da fame ai docenti. Gli esponenti dell’attuale governo giallo –rosso, appena formatosi, assicurano di voler investire di più nella scuola, nella cultura e nella ricerca, perché senza formazione del capitale umano non c’è futuro per un Paese. Vedremo!
Quest’estate ho letto il libro “Ci salveremo”, con il sottotitolo “Appunti per una riscossa civica” del giornalista e scrittore Ferruccio de Bortoli, già direttore del “Corriere della Sera” e del “Sole 24 Ore”, dal 2015 presidente della casa editrice Longanesi. Parlando della scuola, de Bortoli, per evidenziare quanto sia importante la figura degli insegnanti ( in particolare quelli della scuola primaria ) nella formazione sociale e civile dei ragazzi, riporta qualche testimonianza: la prima è quella di Francesco Dell’Oro, responsabile per molti anni del Servizio di orientamento scolastico del Comune di Milano; egli, scrive l’Autore del libro “non dimentica il suo maestro alle elementari. Si chiamava Giorgio Rigamonti. Ti rimproverava se passavi sulle strisce con il semaforo giallo, insisteva sulle buone maniere, raccomandava di lasciare il posto agli anziani sul tram”. Poi de Bortoli cita il maestro Albino Bernardini, morto nel 2015 a 97 anni: nel libro “Un anno a Pietralata” il maestro racconta la sua esperienza di insegnante in una scuola difficile, una periferia romana, “ in cui non c’erano immigrati, ma connazionali poveri, disadattati. Gianni Rodari, nella prefazione, scrisse che Bernardini “cercava nella propria umanità la via per arrivare all’umanità degli alunni”. “E alla fine”, commenta De Bortoli, “i ragazzi, sull’orlo del precipizio di una vita perduta, riconobbero nel loro maestro la persona che non aveva mai smesso, nonostante tutto, di credere che sarebbero diventati degli uomini”. Infine, il noto giornalista conclude il capitolo con queste parole: Anche chi scrive ha un ricordo mitico del suo maestro alle scuole elementari di via Quadronno a Milano. Si chiamava Lorenzo Spoladore. Era un uomo straordinario seppur duro, autoritario. Mio compagno di classe era il ginecologo Enrico Semprini. “Quando chiedo alle mie pazienti che lavoro fanno”, ricorda Semprini, “se hanno insegnato alla scuola elementare, oggi primaria, non mi dicono mai: “Faccio la maestra”. Dicono insegnante. Quasi si vergognano. Dovrebbero essere orgogliose, invece. Se qualcuno si rivolge a un professionista chiamandolo maestro della sua disciplina, è probabile che si schermisca, che dica per favore di non esagerare. I nostri maestri sono stati i maestri delle nostre vite. Unici”. Forse la nostalgia ingigantisce le figure della nostra infanzia. Ma io penso, come il mio amico Enrico, che non tradisca mai.”
Antonio Botta