L’UOMO SI E’ FERMATO A CASORIA.

Nel momento di maggiore sconforto, non c’è modo di sottrarsi a se stessi. Ciascuno si ritira, per un momento, dal mondo e si interroga. Le domande vengono da sole e molte sono indesiderate. In questo preciso istante implodono varie guerre. Ansie, inquietudini, dubbi diventano il pane amaro di cui bisogna pur nutrirsi. “Cosa ho sbagliato? Cosa non è andato come doveva? Qual è il giusto fine? Vale la pena affannarsi così tanto? Chi mi ha gettato nel mondo?”

Per la prima volta, irrequieto, l’uomo è sul precipizio delle proprie domande abissali. Laggiù, o forse lassù, fa molto freddo. Tira un brutto vento, l’aria è gelida, si rischia di essere travolto da una bufera di neve, da una tormenta. Si cerca di far quadrare il cerchio, di trovare delle risposte esaurienti ad interrogativi che non si lasciano definire o chiudere da qualcosa di rassicurante.

Bisogna viaggiare tanto per trovare la voce e la forza di rispondere, visitare luoghi, interrogare persone, far parlare le cose, se è necessario.

Così fa il viandante, mai pago di conoscere, di esperire e di capire. Così egli si restituisce a se stesso, intrattenendo, cioè, con se stesso e con gli altri un

dialogo sempre aperto.

 

Sgrana gli occhi, acuisce l’udito e allena la lingua. Parlerà molto ma molto saprà anche ascoltare. Il viandante non ha muri. E’ attratto dall’”oltre” che sa di trovare in se stesso e su questa terra. Egli medita un colpo d’occhio sul mondo e cerca di assaporarne le diverse sfaccettature. Abita diversi paesaggi e insieme sa dire loro addio. Ha tante mete e nessuna in particolare. Ama viaggiare e la terra è tutto ciò che ha. La terra e niente altro. Viaggia per viaggiare, non per arrivare. Non ha un Paradiso, perché esso gli farebbe perdere il senso della terra, distogliendo il suo sguardo dal mondo.

Il viandante non attende il Messia. Ciò che egli “aspetta” è di imbattersi negli uomini, di un qualsiasi posto della terra, di interpretare le voci straniere che ascolta durante il viaggio. Invece, l’attesa del Regno dei Cieli ha ridotto la vita di tanti uomini ad interregno. E’ vero inoltre che essi hanno anche altre divinità, più o meno antropomorfe, e altrettanto feticci. Tutte quante insieme si chiamano progetti, ai quali talvolta si sacrifica brutalmente una vita intera.

Cosa è dunque la vita? Non risponderò certo a questa domanda. Ciò che solo si può dire è che ciascun uomo dispone di un arco di tempo, più o meno lungo, una sorte di contenitore vuoto. Solo lo spirito del viandante può riempirlo di significato.

Il viandante sa ancora meravigliarsi, esaltarsi di fronte a nuove realtà, contemplare la ricchezza naturale di un luogo. Ma il suo occhio è attento, vigile, esperto. Troppe volte ha gridato “Terra!” invano.

Di fronte al nulla e alla desolazione ha dovuto, per un momento, fermarsi. Incanto e disincanto si sono fatti tutt’uno. Qualche viandante si è fermato a Casoria, nella sua intra – periferia, sballottato dalla corrente che oppone, all’oscuro di tutti, frange sociali antitetiche. Ciò che alberga nel cuore è la convinzione forte, fortissima che Casoria sia un luogo – non luogo, un agglomerato senza pòlis né politica. Uno strano caos, uno strano gioco dove qualcuno vuole ancora mettersi in gioco.

Al mio caro maestro Salvatore Cinà il cui ricordo ancora mi aiuta a diventare ciò che sono anche se il giorno e la notte non gli appartengono più.

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