La collaborazione tra nazisti ed organizzazioni ebraiche sioniste
e l’ipocrisia dell’occidente democratico
di Gianfredo Ruggiero
Nella drammatica vicenda della persecuzione hitleriana vi sono due aspetti poco noti e per nulla dibatuti, mi riferisco all’attiva collaborazione tra regime nazista e organizzazione sioniste per agevolare il trasferimento degli ebrei tedeschi in Palestina e l’atteggiamento ipocrita dell’Occidente che se da un lato esprimeva solidarietà agli ebrei vessati dai nazisti dall’altro si rifiutava di ospitarli.
Adolf Hitler fin da subito adottò nei confronti degli ebrei una politica di restrizione dei diritti civili per indurli a lasciare la Germania (judenfrei), anche attraverso il sostegno all’emigrazione. Quest’ultimo aspetto rispecchiava l’ideale della patria ebraica preconizzata da Theodor Herzl, fondatore del movimento
sionista il quale, per quanto possa sembrare paradossale, concordava con i nazisti sul fatto che ebrei e tedeschi erano nazionalità distinte e tali dovevano restare.
Come risultato il Governo di Hitler sostenne con vigore il Sionismo e l’emigrazione ebraica in Palestina dal 1933 fino al 1940-41. Questa politica portò al cosiddetto “Accordo di Trasferimento” noto anche come Haavara, in virtù del quale gli ebrei emigranti depositavano il denaro ricavato dalla vendita dei loro beni in un conto speciale destinato all’acquisto di attrezzi per l’agricoltura prodotti in Germania ed esportati in Palestina dalla compagnia ebraica Haavara di Tel Aviv.
A questo accordo tra governo tedesco e Mapaï, l’antenato del partito Laburista israeliano, contribuirono personaggi divenuti in seguito molto noti come i futuri Primi Ministri israeliani David Ben-Gurion e Golda Meir.
Una immagine singolare che sintetizza meglio di altre questa collaborazione è la medaglia commemorativa coniata allo scopo dal Governo tedesco che reca su una faccia la svastica e sull’altra la stella di David.
L’altro aspetto poco approfondito riguarda il sostanziale rifiuto delle nazioni democratiche di accogliere nei loro confini i profughi ebrei. Atteggiamento confermato dal fallimento della conferenza di Evian del 1938 dove i trentadue due stati partecipanti avrebbero dovuto ognuno farsi carico di un numero di ebrei provenienti da Germania e Austria proporzionale alle loro dimensioni. L’unica nazione che si propose di accogliere rifugiati fu la Repubblica Dominicana che ne accettò circa 700, tutte le altre, con motivazioni più o meno plausibili, rifiutarono ogni forma di accoglienza abbandonandoli, di fatto, al loro destino.
Altra questione poco dibattuta riguarda le linee ferroviarie da cui transitavano i convogli carichi di ebrei. Gli alleati sapevano fin dagli inizi del 1942 dell’esistenza dei campi di concentramento eppure, nonostante i massicci bombardamenti alleati che ridussero in macerie la Germania, le linee ferroviarie utilizzate dai tedeschi per trasferire gli ebrei nei campi di lavoro non furono mai attaccate, se non come effetto collaterale come avvenne il 24 agosto del 1944 con il bombardamento della fabbrica di armamenti di Mittelbau-Dora che coinvolse il vicino campo di Buchenwald dove morì, per effetto delle bombe alleate, Mafalda di Savoia.
Come mai, mi domando, questi fatti sono sottaciuti se non del tutto ignorati anche dagli storici più autorevoli? Forse per non mettere in imbarazzo i cosiddetti “paladini della libertà”?
Nel “Giorno della Memoria” esprimiamo la nostra piena solidarietà al popolo ebraico per la persecuzione subita e la ferma condanna ad ogni forma di discriminazione razziale. Questo però non deve indurci a sorvolare sulle pesanti responsabilità, condite di cinismo e ipocrisia, delle democrazie occidentali che vedevano, sapevano e volgevano lo sguardo altrove rendendosi, perlomeno sotto il profilo politico e morale, complici dei carnefici.
Gianfredo Ruggiero, presidente del Circolo Culturale Excalibur-Varese