Un ciclo di “Lezioni Napoletane” dedicate a Giovanni Boccaccio in occasione del settecentenario della sua nascita (1313). L’iniziativa è della Facoltà di Lettere dell’Università Suor Orsola Benincasa che ha ideato e promosso uno specifico percorso di studi (suddiviso in due cicli di lezioni aperte al pubblico) dedicata all’opera del grande scrittore fiorentino con una particolare attenzione all’analisi dell’importanza del suo lungo e formativo soggiorno napoletano.
Il primo ciclo di incontri articolati in tre lezioni di illustri accademici di rango internazionale prenderà il via giovedì 5 Dicembre alle ore 16 presso la Biblioteca Pagliara dell’Università Suor Orsola Benincasa con la lectio magistralis di Giuseppe Galasso, professore emerito di Storia medievale e moderna all’Università Federico II di Napoli, dedicata al tema “L’Italia del trecento, Italia di Boccaccio”.
I due appuntamenti successivi saranno il 9 dicembre alle 16 con Rino Caputo, docente di letteratura italiana all’Università di Roma Tor Vergata con la lezione su “Boccaccio tra Petrarca e Dante” e l’11 dicembre alle ore 12 con Giona Tuccini, docente di Letteratura Italiana all’Università sudafricana di Cape Town, con la lezione sugli “Aspetti della narrativa medievale nelle prediche volgari di Bernardino da Siena”.
Il secondo ciclo di lezioni si svolgerà nel secondo semestre dell’anno accademico, a partire da Marzo, con gli autorevoli interventi, tra gli altri, di Emma Giammattei, Lina Bolzoni, Francesco Bruni e Gennaro Carillo.
Boccaccio e il periodo napoletano
Dopo Firenze, Napoli è riconosciuta come la principale città dell’esperienza biografica e
Letteraria di Giovanni Boccaccio, patria di adozione, luogo di formazione, ma anche tema letterario che torna con luoghi motivi e caratteri antropologici in molte sue opere, e naturalmente nel suo capolavoro, il Decameron
Nel 1327, dopo aver trascorso infanzia e adolescenza a Firenze, il quattordicenne Boccaccio seguì a Napoli il padre, divenuto il rappresentante della potente compagnia mercantile dei Bardi di Firenze presso la corte di Roberto d’Angiò.
L’intenzione del Boccaccino era quella di avviare il figlio alla «mercatura», cioè alla pratica commerciale finanziaria. Il giovanissimo Boccaccio finì dietro il banco della filiale dei Bardi, a trattare con i clienti, a cambiar denaro, a tenere in ordine i registri dei conti, con la speranza però di dedicarsi alle lettere. Rassegnato all’insofferenza del figlio o, più verosimilmente, nutrendo sul suo conto nuovi ambiziosi progetti, Boccaccino lo indirizzò allora agli studi di diritto canonico, ma anche in questo caso con scarsi risultati. All’università di Napoli, illustre docente in questa disciplina era il poeta Cino da Pistoia, la cui frequentazione servì a Boccaccio più ad avvicinarsi alla grande esperienza stilnovistica che ad approfondire gli studi accademici. In età matura, Boccaccio avrebbe rimproverato al padre di avere ostacolato i suoi studi e, con questo, di avergli negato la possibilità di diventare un grande poeta. Eppure a Napoli, grazie alle relazioni del padre, egli condusse una vita tutt’altro che sacrificata: partecipava infatti alla galante vita di corte, dove poteva vantare il titolo di ciambellano e consigliere di fiducia del re.
Boccaccio vissé a Napoli in più tornate, il primo periodo napoletano corre dal 1327 al 1341 e segna la scrittura di alcune delle sue maggiori opere giovanili, frutto delle sue letture irregolari. Fu uno dei periodi più lieti della sua vita, dai quattordici ai ventisette anni d’età. Lì si formò, frequentando la gioventù dorata della città e dedicandosi a una brillante vita di relazione, senza troppo curarsi delle differenze sociali fra sé, figlio illegittimo di un mercante sia pure facoltoso, e i suoi aristocratici amici.
Dal punto di vista della formazione letteraria, la corte angioina fu luogo ricco di stimoli. Roberto d’Angiò, che aveva velleità letterarie, vi aveva impiantato una ricca biblioteca e attratto numerosi intellettuali di primo piano. Boccaccio vi assorbì l’esperienza stilnovistica, grazie alla presenza di Cino da Pistoia; conobbe i romanzi cortesi e cavallereschi, dato l’influsso della cultura francese sulla casa angioina; lesse avidamente i romanzi greci e studiò i classici latini, specie Ovidio, Virgilio e Lucano, sempre frequentando assiduamente la ricca biblioteca di corte sotto la guida di Paolo da Perugia.
Preminenti furono la passione per lo studio della retorica (Cicerone, Quintiliano e Macrobio) e il gusto per le «storie», di natura dotta, popolaresca od orale che fossero. Città mediterranea e levantina, aperta ai traffici verso l’Oriente, Napoli offrì anche a Boccaccio, per le diverse vie della tradizione orale e scritta, l’occasione di conoscere e di sentir narrare fatti, costumi, usanze e avventure piratesche dei paesi musulmani di là del mare.
I primi rigogliosi frutti delle sue sterminate e un po’ disordinate letture furono due esuberanti opere giovanili, il Filostrato e il Filocolo, destinate prevalentemente al pubblico di corte.
Il mito di Fiammetta e il ritorno a Firenze
Boccaccio appassionandosi alla letteratura cortese e stilnovistica, proprio a Napoli crea il mito letterario dell’amore per Fiammetta, probabilmente figlia di Roberto D’Angiò. Al fine di incrementare il mito inventerà anche un’autobiografia ideale, secondo la quale nacque a Parigi da una famiglia nobile.
Il felice soggiorno a Napoli di Boccaccio si concluse nel 1340, quando la banca dei Bardi entrò in crisi e Boccaccino, tornato a Firenze, vi richiamò poco dopo il figlio. Tuttavia egli continuò sempre a seguire da vicino le vicende partenopee, provando addirittura a intervenire, da poeta nei suoi rivolgimenti politici. È il caso del Buccolicum carmen, le cui egloghe III-VII trascrivono in forma pastorale la complessa situazione della dinastia angioina nella crisi degli anni 1347- 1348.
Programma completo del ciclo di lezioni: www.unisob.na.it/eventi/eventi.htm?vr=1&id=12136
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