Casoria. Appartate, indifese, discrete, piene di soldi in contanti e nessuna voglia di avere la polizia intorno. Erano le vittime ideali, secondo una banda di rapinatori. Ma un gruppo di prostitute di lusso, dopo ben otto rapine in due mesi, si è ribellato. Ha denunciato tutto e, attraverso i tabulati telefonici, con una serie di successivi confronti, grazie al riconoscimento personale, ha inchiodato i rapinatori, che ieri mattina sono finiti in manette. Ad arrestarli i carabinieri della Compagnia di Napoli – Poggioreale, al culmine di una minuziosa indagine che ha condotto prima all’identificazione dei componenti del gruppo criminale, e poi alla loro cattura. Cinque gli ordini di arresto.
Uno è stato notificato in cella al presunto capo della banda, Francesco Madonia, 31 anni, di Mugnano, già in carcere dal luglio scorso. Altri tre presunti componenti della gang sono stati prelevati dalle loro abitazioni all’alba e portati in cella, a Poggioreale. Si tratta di Arcangelo Mercurio, Giovannantonio Carta e Raffaele Iazzetta, tutti di 21 anni, di Mugnano. Il quinto componente, la cui identità non è stata, ovviamente, resa nota, è sfuggito alla cattura e risulta latitante. I cinque sono accusati anche di violenza sessuale, perché in alcuni casi, dopo le rapine hanno costretto le prostitute a subire rapporti.
La modalità con cui si svolgevano i raid era sempre la stessa, e rispondeva, evidentemente, ad un copione studiato a tavolino. Uno solo dei componenti della banda individuava la prostituta da rapinare. Non una di strada, situazione più rischiosa e meno fruttifera. Ma una di lusso, di quelle che esercitano negli appartamenti, con tariffe e incassi maggiori e un contesto più discreto. La vittima veniva individuata grazie agli annunci che pubblicava su alcuni siti internet e veniva contattata per un appuntamento, al quale si presentava un solo rapinatore. Il bandito, per conquistare la fiducia della prostituta, si presentava ben vestito, con educazione; si fingeva un cliente come tanti. Ma una volta dentro l’appartamento puntava l’arma e avvertiva i complici in attesa. La banda, così, al completo, faceva irruzione nella casa e sotto la minaccia delle pistole, costringeva la malcapitata a dare tutti i soldi in suo possesso. Poi razziava gioielli, cellulari e computer e, infine, in alcuni casi, approfittava anche sessualmente della donna.
In due mesi, tra giugno e luglio del 2013, i cinque rapinatori, con questa tecnica, hanno messo a segno ben otto raid, ai danni di prostitute che esercitavano in appartamento nelle zone di Capodimonte, Fuorigrotta, Licola e Varcaturo. Probabilmente i cinque puntavano sulla reticenza delle vittime, tutte straniere, per la maggior parte sudamericane e, a causa della loro attività, poco inclini a presentare denuncia. Per rafforzare l’intimidazione, durante le rapine, i cinque dichiaravano spesso di essere appartenenti alle forze dell’ordine. Le vittime, senza tentennamenti, però si sono rivolte ai Carabinieri e hanno deciso di collaborare attivamente a tutta l’indagine.
Il punto di partenza dell’inchiesta è stato l’analisi dei tabulati telefonici delle utenze usate dalle prostitute per fissare gli appuntamenti. Incrociando i dati, sono spuntati prima i numeri, poi i nomi di alcuni sospettati. Questi sono stati riconosciuti dalle vittime. Ulteriori elementi indiziari sono stati raccolti anche con una serie di intercettazioni, disposte dalla procura della Repubblica di Napoli.
Quando il quadro delle responsabilità è apparso chiaro, le forze dell’ordine hanno proceduto agli arresti, liberando le prostitute da quello che, da alcuni mesi, era diventato il loro incubo.