Doveva essere il weekend dell’adrenalina, dell’ardente curiosità di conoscere i nuovi acquisti, le formazioni, gli schemi delle compagini di Serie A ed, invece, penseremo a quello che poteva essere, sperando che l’astinenza dal pallone finisca quanto prima.
C’è chi paventa addirittura uno sciopero ad oltranza, chi crede che i muri frapposti tra la Figc e la Lega, e tra quest’ultima e l’Associazione Italiana Calciatori, siano difficilmente valicabili. Razionalmente tutti sanno che una delle principali attività economiche del Paese non può fermarsi, quindi la convinzione diffusa è che l’11 Settembre si tornerà in campo.
Nel frattempo il danno è stato compiuto; da più parti leggiamo i calcoli fatti per quantificare i problemi creati a club e televisioni. Per una volta vorremmo, però, che si mettessero al centro i tifosi, quelli che avevano già prenotato viaggi ed organizzato trasferte per seguire la propria squadra del cuore. La realtà è che presidenti e calciatori non meritano i sentimenti di chi concede al calcio una fetta della propria vita per raccogliere delle emozioni. Il lessico del “cuore” non appartiene a chi ha fatto del denaro e del potere gli unici due punti di riferimento su cui costruire la propria azione.
Le motivazioni ufficiali della sospensione indetta dall’Aic riguardano la gestione dei fuori rosa ed il contributo di solidarietà. I club vorrebbero inserire nel contratto collettivo la clausola che fosse pagato dai calciatori, mentre sui fuori rosa l’obiettivo dei presidenti è stabilire la libertà per gli staff tecnici di far allenare a parte per periodi prolungati i calciatori che non rientrano nei piani delle squadre.
Sul contributo di solidarietà Tommasi dichiarava costantemente che i calciatori fossero disponibili a pagare, però poi non volevano inserire la clausola esplicita richiesta dai club: “Eventuali contributi straordinari quali quelli previsti dal dl 14 agosto 2011 e s.m.i. analoghi provvedimenti saranno comunque esclusivamente a carico del calciatore”. La questione era superabilissima, infatti, il presidente della Figc Abete aveva proposto un fondo di garanzia che potesse mettere d’accordo tutti. La questione dei fuori rosa sicuramente ha la sua importanza nell’ottica della gestione della trattativa, ma non può portare i presidenti ad avere un atteggiamento di chiusura al dialogo così evidente. Come si fa a respingere il rilancio di Tommasi sull’accordo ponte invocato da De Laurentiis? Come si fa ad arrivare a pochissimi giorni dall’inizio del campionato senza un accordo su questioni di cui si parla da tempo? L’irresponsabilità del sistema calcio è davanti agli occhi di tutti e si racchiude in un solo problema: il mancato rispetto verso i tifosi, quelli che danno ancora un senso a questo mondo.
“Purtroppo hanno vinto i falchi”- ha detto ieri Zamparini, stimolando tante riflessioni sulle reali motivazioni dell’ostruzionismo di Beretta, costretto a recitare il ruolo del “duro”. Oltre Perinetti e Cellino, rappresentanti di Siena e Cagliari, che hanno votato sì al contratto, tra le altre diciotto società c’era chi, pur non condividendo le posizioni dell’Aic e ribadendo che serve una ristrutturazione generale del sistema, sarebbe stato disposto a buttar giù un accordo ponte, come proprio De Laurentiis e Zamparini. Purtroppo, però, hanno vinto i “lotitiani”, espressione usata frequentemente dal patron del Napoli sull’argomento. Il presidente della Lazio è uno dei protagonisti dei casi Ledesma e Pandev e rappresenta in Lega uno dei più rigidi sulle questioni sollevate dai calciatori. L’obiettivo dei presidenti è duplice: mandare a casa Abete, dimostrando fastidio verso le figure di controllo e far acquisire il potere assoluto alla Lega nell’affrontare le questioni relative al cambiamento del sistema calcio. “La Figc è un animale preistorico”- ha detto De Laurentiis qualche giorno fa, aggiungendo che deve essere la Lega di Serie A, la forma associativa che riunisce coloro che investono.
La questione è complessa e spinosa, e se non si vuole continuare a commettere altri autogol, profonda espressione usata dall’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport”, bisogna armarsi di senso di responsabilità e mettere giù l’accordo ponte invocato da De Laurentiis. Non bisogna poi adagiarsi e durante l’anno discutere continuamente della rivoluzione da compiere, i cui punti centrali sono: revisione della gestione dei diritti televisivi e superamento della legge 91 del 1981, inquadrando non più il calciatore come un lavoratore subordinato, ma come un libero professionista. La liberazione dagli oneri previdenziali per i club sarebbe una bella notizia per le società più deboli, che potrebbero così riacquisire ossigeno. Il pensiero va anche alla Lega Pro, dove non esistono le entrate dei diritti televisivi e sono sicuramente inferiori quelle relative a marketing e merchandising ed ogni anno assistiamo a fallimenti e crisi estive.