Mariglianella (Napoli). A distanza di diciotto anni dall’incendio dei locali della società Agrimonda il caso lascia ancora tante risposte aperte: l’amministrazione centrale dello Stato provvede allo stanziamento di una somma utile all’esecuzione degli interventi d’urgenza ma non alle azioni di bonifica, mentre la competenza di controllo del SIN Litorale Domizio Flegreo ed Agro Aversano in cui il sito rientra, non più classificato di interesse nazionale dal nuovo decreto del Ministero dell’Ambiente, si aggiunge ai doveri della Regione Campania.
E’ l’epilogo parziale di un lungo procedimento penale ad opera della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Nola nei confronti di ignoti per il delitto di incendio e tentata estorsione in danno di Mario e Luigi Monda, concluso con l’archiviazione “per impossibilità di pervenire all’identificazione degli autori dei fatti criminosi”.
In questa storia ricca di colpi di scena, dall’omissione di atti d’ufficio all’inazione delle amministrazioni e al rifiuto d’intervento da parte degli enti coinvolti, c’è chi non ha mai perso la speranza di raggiungere un punto d’arrivo lottando per la tutela della salute pubblica, devastata dalla condizione di degrado ambientale e dall’interramento in quel sito di prodotti chimici altamente dannosi alla collettività.
«Non è la soluzione in cui speravamo, ma di certo rappresenta una battaglia vinta» racconta l’architetto Leopoldo Esposito, presidente dell’associazione A.L.T. (Ambiente Legalità e Territorio) La Fenice di Mariglianella, e portavoce, come altri cittadini comuni, della vicenda di ordine pubblico. «Abbiamo cercato di tenere alta l’attenzione dei media, di evitare che il mostro Agrimonda potesse cadere nel dimenticatoio minimizzando l’importanza dei suoi effetti nefasti».
Con lui Raffaella Lombardi, erede del padre deceduto Eduardo, ora proprietaria di un fondo limitrofo all’area interessata reso oggetto di intervento nel luglio ’95 da parte delle autorità competenti e dichiarato conseguentemente “indisponibile”; Raffaele Monda, il quale viveva e abita a breve distanza dall’ex deposito di fitofarmaci in condizioni precarie di salute; Virginia Petrellese, presidente del Comitato Donne del 29 agosto e i cittadini attivi Alessandro Cannavacciuolo e Armando Esposito.
I sei hanno deposto una nuova denuncia a metà febbraio insistendo sulla natura del motivo per cui fossero trascorsi tanti anni dal momento in cui l’amministrazione centrale dello Stato avesse espresso in modo definitivo la volontà e la possibilità di destinare una somma per l’esecuzione degli interventi d’urgenza. Per questo dinanzi ai penalisti Raffaele Picciocchi ed Enrico Matarazzo del Foro di Avellino hanno chiesto ancora giustizia e accertamenti “in merito all’identificazione e all’affermazione della piena responsabilità penale dei soggetti autori del crimine e quelli che avrebbero dovuto attivarsi per le opere di bonifica”.
Il 15 dello scorso mese anche l’impossibilitato Gennaro Esposito dell’associazione Medici per L’Ambiente avrebbe voluto presenziare, di certo appellandosi all’art. 32 della Carta Costituzionale (“la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”) e all’art. 175 del Trattato Istitutivo della Comunità Europea, par. 4 (“Fatte salve talune misure di carattere comunitario, gli Stati membri provvedono al finanziamento e all’esecuzione della politica in materia ambientale”). Punti di forza sui quali battono soprattutto i legali. Nel comunicato stampa diffuso da loro tre giorni dopo la denuncia è evidente la conclusione “… la gestione di un sito tossico costituisce un’assoluta priorità, in quanto incide su interessi di rango costituzionale, come la salute dei cittadini e la protezione delle risorse naturali…”.
di Simona Cerbone