COVID: il peso della memoria

Il 18 marzo 2025, l’Italia si ferma per commemorare le vittime della pandemia di COVID-19, una giornata nazionale istituita per “conservare e rinnovare la memoria di tutte le persone che sono decedute a causa dell’epidemia”.

Questa data fu scelta per ricordare il giorno in cui, nel 2020, i camion militari carichi di bare sfilarono per le strade di Bergamo, un’immagine destinata a rimanere impressa nella memoria collettiva. Quella tragedia ci ha segnato profondamente, eppure oggi viviamo in un mondo che sembra aver dimenticato il valore della vita e della solidarietà.

La pandemia ha messo a nudo le fragilità della nostra società, mostrando quanto possano essere vulnerabili anche le nazioni più avanzate. In Italia, fino al 31 dicembre 2022, il COVID-19 ha causato circa 216.000 decessi, colpendo soprattutto le persone anziane e fragili. In quei mesi drammatici, ci siamo ritrovati ad applaudire i medici dai balconi, a cantare per sentirci meno soli, a sperare che, una volta usciti dall’emergenza, il mondo potesse cambiare in meglio. Ma siamo davvero riusciti a imparare qualcosa? Guardando la realtà che ci circonda, sembra che il desiderio di una società più empatica e giusta si sia dissolto troppo in fretta, soffocato dalle vecchie logiche dell’indifferenza e della divisione.

Oggi, mentre ricordiamo chi ha perso la vita a causa del virus, non possiamo ignorare il fatto che viviamo ancora immersi in un clima di sofferenza e disumanità. La guerra è tornata a essere una realtà quotidiana in Europa e nel mondo, con il conflitto tra Russia e Ucraina che continua a mietere vittime e a distruggere vite. Non lontano da noi, il Medio Oriente è dilaniato da tensioni e bombardamenti incessanti, con la popolazione civile che paga il prezzo più alto. Le immagini di ospedali distrutti, bambini senza futuro e famiglie costrette a fuggire ricordano, sotto una diversa forma, il senso di impotenza che abbiamo vissuto nei giorni più bui della pandemia. La morte, il dolore, la paura dell’incertezza sono elementi che accomunano tutte queste tragedie.

Allo stesso tempo, la nostra società sembra aver sviluppato un’inquietante assuefazione alla sofferenza altrui. Il fenomeno del “doomscrolling”, la ricerca compulsiva di notizie negative, è sempre più diffuso e contribuisce a un senso di ansia e impotenza collettiva. Ogni giorno siamo sommersi da notizie di femminicidi, di giovani che si tolgono la vita a causa del cyberbullismo, di lavoratori che muoiono per la mancanza di sicurezza sul posto di lavoro. Il recente caso di Andrea Prospero, lo studente istigato al suicidio da un gruppo online, è solo l’ennesima dimostrazione di come la crudeltà possa annidarsi anche nei meandri del digitale.

Ricordare le vittime del COVID-19 oggi non significa soltanto commemorare chi non c’è più, ma anche riflettere su cosa è diventata la nostra società. Gli studenti, durante le commemorazioni di quest’anno, hanno sottolineato la necessità di un cambiamento culturale, affermando che “non siamo invincibili, serve unità”. Eppure, l’unità sembra essere una parola sempre più svuotata di significato. I governi continuano a mostrarsi divisi e incapaci di affrontare le crisi globali in modo coordinato. Le disuguaglianze sociali aumentano, mentre il divario tra ricchi e poveri si allarga inesorabilmente. I segnali di una crisi climatica devastante sono sotto gli occhi di tutti, eppure il mondo continua a rimandare azioni decisive, condannando le generazioni future a pagare il prezzo dell’inazione.

La memoria delle vittime del COVID-19 deve essere qualcosa di più di una semplice ricorrenza: deve diventare un monito per costruire una società più giusta e umana. Se il dolore di quella tragedia non ci ha insegnato il valore della vita, allora abbiamo perso una lezione fondamentale. Oggi, di fronte a guerre, violenze e crisi globali, abbiamo il dovere morale di non voltare lo sguardo. Solo ricordando davvero chi abbiamo perso e comprendendo il significato profondo di quella sofferenza potremo sperare in un futuro diverso. Il tempo per cambiare è ora, prima che sia troppo tardi.

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