Questo il prologo del nuovo romanzo di Michele Pilla, giovane scrittore, giornalista e speaker di cui vi abbiamo parlato proprio Domenica scorsa su Casoriadue. A voi la curiosità e il piacere di scoprire il seguito!
Dal diario di viaggio di Stefano Valente
Londra, maggio 2009
Mi è rimasto solo il suo nome. Anja. Un sospiro. Il suo nome e una sua fotografia sgualcita, ingiallita dal tempo, che gli avvenimenti hanno sicuramente reso ancor più inquietante. Anja. Un sospiro dietro cui si nascondeva un uragano, che avrebbe cambiato la mia vita e poi se ne sarebbe andato per sempre, lasciandomi col riflesso di me stesso, quasi un’immagine distorta di quello che ero.
Anja… Questo nome mi perseguita, rimbombandomi nella testa con un’eco sinistra. A volte mi capita di sognare di ritrovarmi da solo in una stazione abbandonata dove, tutt’a un tratto, gli altoparlanti iniziano a ronzare, prima sommessamente, dopo via via con maggior vigore, fino a che quel rumorino infernale non mi entra nella mente. Poi, pian piano, il suono varia e si distorce come plastica che brucia, fino a divenire “Anja”. Tutti gli altoparlanti della stazione gracchiano quel nome, sempre più simile a una filastrocca maledetta durante un rito satanico. Qualche volta, poi, durante l’incubo accade anche che si materializzino volti e persone, persone sconosciute.
E poi, la stazione. Era lì che l’avevo conosciuta, cinque mesi fa. Diavolo, sono già cinque mesi… Sembra ieri, che è finito tutto. Ma ne conservo ancora tutte le cicatrici.
Hatton Cross, si chiama la stazione. Dopo tutto quel che è capitato in questi mesi, figurarsi se sarei mai riuscito a dimenticare il nome di una seppur anonima stazione della linea blu della metro londinese. Avevo trascritto tutto, sul mio taccuino di viaggio, proprio tutto, onde evitare di cancellare e perdere inevitabilmente anche il particolare a prima vista più insignificante.
Già, Hatton Cross, in quella fredda e umida serata di dicembre. C’era il ghiaccio sul marciapiedi, e c’era una donna dall’aspetto mascolino che versava il sale per evitare che i (pochissimi) passanti ancora in giro potessero scivolare. Hatton Cross, anonima e semideserta stazione della linea blu dell’Underground londinese, una città sommersa in una metropoli.
«My name is Anja», aveva detto timidamente in un inglese perfetto, una frase che aveva capito senza problemi anche il mio amico Marco, che di inglese capisce ben poco. Quando Anja aveva pronunciato il suo nome, gli occhi azzurri avevano avuto un lieve guizzo e sulle guance spruzzate di lentiggini le si erano disegnate deliziose fossette.
Delicata, pensai. Fu il primo aggettivo che, incautamente, le affibbiai. Non sapevo nulla di lei, né immaginavo che di lì a poco avrei saputo più di quanto volessi. E neanche lo speravo.
Hatton Cross, una sera umida e gelida di metà dicembre scorso. Fu lì e allora che conobbi Anja ed entrai in un sogno che presto sarebbe diventato un incubo disseminato di morte e di morti.
Delicata, Anja, non lo era affatto.