Rispondo volentieri all’appello lanciatomi la settimana scorsa da “Nuova Città”. L’ultimo libro in cui ho letto qualcosa su Casoria è “Terracarne” di Franco Arminio, uscito l’anno scorso per Mondadori. Questo “viaggio nei paesi invisibili e nei paesi giganti del Sud Italia” fa tappa anche nella nostra cittadina, che periodicamente assurge a simbolo del ‘marchio infame’ (come scrisse Paolo Macry sul Corriere all’indomani della famigerata venuta di Berlusconi) dell’hinterland di Napoli. Il “paesologo” Arminio è un poeta, e racconta un fugace passaggio da estraneo: il suo racconto è garbato e un po’ malinconico,
piccola elegia di luoghi che vivono morendo, in un degrado fisico e morale, urbanistico e sociale. Il perché lo dice in un inciso: “perché questi paesi hanno subito l’onda dirompente di Napoli e non hanno saputo difendersi”.
Ecco il punto. Casoria è una allegoria di tutto questo. Di una provincia che è solo una periferia – politica e urbana, sociale e antropologica – del ‘Napolicentrismo’. Il mare non bagna Casoria, per dirla in breve. Ma il degrado di questa cittadina, periodicamente esposta al saccheggio dei mass-media, non è solo un fatto geografico, ovvero locale, provinciale. È un fatto storico, che ha qualcosa a che fare con lo sviluppo (senza progresso) di una grande città come Napoli.
Traffico, micro (e macro) criminalità, disastro ambientale, congestione edilizia, e tutte le conseguenze antropo-sociologiche connesse: i problemi di Casoria sono in realtà i problemi di Napoli, che nei decenni la metropoli ha preferito decentrare geograficamente, anziché risolvere. È una ‘metropoli imperfetta’, Napoli, che ha costruito (e continua a progettare) il proprio sviluppo a discapito della provincia, che sta trasformando in una sterminata periferia.
L’hinterland è l’altra metà del cosiddetto ‘Napolicentrismo’: chilometri di degrado che corrono lungo la circumvallazione esterna, che da Casoria porta a Lago Patria, ai regni di Gomorra. E lungo l’Autostrada del Sole o la Statale Sannitica, che da Casoria portano a Caserta: dove spuntano, come miraggi tra i miasmi delle paludi dei Regi Lagni, la stazione TAV di Afragola, l’inceneritore di Acerra e decine di piccoli e grandi centri commerciali. Nella provincia di Napoli manca ogni pianificazione. Provate a leggere il PTCP: non è altro che una codificazione del caos ambientale ed urbanistico, di cose che si potrebbero, ma in realtà non si possono fare. Per tanti motivi. Per tanti interessi. Ma soprattutto perché Napoli non ci crede, all’idea metropolitana. Non ci ha mai creduto, e preferisce collassare, anziché decentrare nell’hinterland delle funzioni ‘qualificanti’ per il territorio. Meglio scaricarci il ‘troppopieno’ della metropoli: monnezza disseminata in centinaia di piccole discariche, edilizia popolare e post-terremoto dimenticata (il caso più eclatante è Secondigliano, divenuta una roccaforte di Gomorra, ma ci sono anche le Salicelle di Afragola e il Parco Verde di Caivano, la 219 di Arpino), centri commerciali che nel fine settimana intasano chilometri di autostrada.
Questo non vuol dire che sia tutta colpa di Napoli: anche l’hinterland ha una parte rilevante di responsabilità, in tanta decadenza. È una responsabilità civile, che ricade in larga parte sui politici e sugli elettori di questa provincia. Chi volesse farsi un’idea del livello del dibattito politico dell’hinterland, dovrebbe farsi un giro nei consigli comunali di questi comuni. Troverebbe politicanti che nella migliore delle ipotesi non hanno argomenti, e nella peggiore stentano persino ad esprimersi in italiano. Votati da una massa omertosa di beneficiati, in cerca ancora di favori, di condoni, di ‘sistemazioni’ per figli, parenti e nipoti. Non troverebbe la politica, ma solo professionisti del voto, cartelli elettorali in combutta con i dirigenti napoletani, a cui interessano solamente i pacchetti di tessere. Perché è a Napoli (o comunque altrove) che si decide tutto: a Casoria non troverebbe un circolo del Pd o del Pdl che conti davvero qualcosa, ma solo fazioni in lotta pronte ad espellersi a vicenda senza chiarire una posizione univoca (ma il Pd è dentro o fuori dall’amministrazione? e l’ex sindaco Ferrara?). Troverebbe il manovratore di turno che fa politica da più di vent’anni senza uno straccio di risultato, freddato dal voto popolare alle elezioni dirette a sindaco, e poi risorto alla tornata successiva sull’incapacità dei partiti di costruire un’alternativa democratica.
Troverebbe, certo, anche tanta gente perbene (persino nei consigli e nelle giunte comunali). Ma che li lascia fare, forse perché ha rinunciato da tempo a vivere in un paese normale, e gli basta solo passarsela decentemente. Genitori di figli scappati lontano. Operai stanchi e impiegati stressati. Santi e mariuncielli. Nullafacenti e professionisti. Tutti che la sera se ne tornano a casa e pensano la stessa cosa: «mi è andata bene un altro giorno in mezzo a quest’inferno». E chiudono la porta, senza sapere che dietro quella porta, sul loro silenzio, sulla sfiducia, sull’indifferenza, su quella cosa che sentono alla bocca dello stomaco, Napoli, la grande metropoli, resta in piedi. E Gomorra costruisce il suo impero. Perché il mare non bagna Casoria.