27 Gennaio: per non dimenticare
“C’è un paio di scarpette rosse in cima a un mucchio di scarpette infantili a Buchenwald, più in là c’è un mucchio di riccioli biondi di ciocche nere e castane a Buchenwald, servivano a far coperte per i soldati, non si sprecava nulla e i bimbi li spogliavano e li radevano prima di spingerli nelle camere a gas, c’è un paio di scarpette rosse per la domenica a Buchenwald: erano di un bambino di tre anni e mezzo, chi sa di che colore erano gli occhi bruciati nei forni, ma il suo
pianto lo possiamo immaginare. Si sa come piangono i bambini, anche i suoi piedini li possiamo immaginare, scarpa numero ventiquattro per l’eternità, perché i piedini dei bambini morti non crescono” (J Lussu: C’è u paio di scarpette rosse)
Karl Popper scrisse che “il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza”. Oggi siamo immersi in un clima sociale e culturale dominato da una concezione pragmatica e utilitaristica della vita, nella quale ciascuno è centrato su se stesso, sui propri bisogni materiali da soddisfare, dove l’aspetto emozionale conta molto di più della elaborazione del pensiero razionale. Anche il senso di quanto accaduto nel passato viene relegato nei soffitti della memoria, presi da preoccupazioni e da problemi che assillano il nostro quotidiano.
Tanto più, allora, urge“fare memoria” della Shoah in questo giorno, che istituzionalmente è dedicato a un’esperienza tragicamente disumana accaduta durante la seconda guerra mondiale. Proprio perché , per un verso, si è troppo distratti da molteplici stimoli che stuzzicano “appetiti” bassi e, per l’altro,si è afflitti da problematiche socio-economiche che generano ansie e un senso di profonda incertezza, è necessario non dimenticare un evento storico raccapricciante e abietto, nel quale la dignità di milioni di uomini fu umiliata, calpestata, negata. Se si affievolisce la vigilanza, se non teniamo desto l’orrore per ciò che è accaduto a donne, bambini, uomini ebrei nei campi di sterminio, grande è il rischio di un’assuefazione lenta, ma inesorabile, al male, cancro dello spirito che travolge i valori sui quali si fonda una società civile, sviluppando la metastasi perniciosa dell’indifferenza e della conseguente dimenticanza. E’ così, allora, che non emerge più l’indignazione per le gravi ingiustizie che ledono la dignità di tanti uomini (22.000 bambini, ogni giorno, continuano a morire letteralmente di fame), per tutte le forme di violenza fisica e psicologica che una moltitudine di esseri umani subiscono, per lo stato di umiliante sudditanza in cui sono tenute milioni di donne da padri e mariti padroni, per l’abuso del loro corpo e di quello di bambini, vittime inconsapevoli di esseri immondi, per la facilità con cui si attenta alla vita di moltissime persone in conflitti spesso indotti per i turpi profitti ricavati dal commercio delle armi.
E’ vero, gli uomini hanno compiuto progressi notevoli nei vari campi dello scibile umano; quasi nulla della natura ci è ignoto, ma poco o niente sappiamo di noi stessi, di come diventiamo capaci di compiere i più orrendi misfatti. Il giorno della memoria, dunque, ci è necessario per acquisire sempre più consapevolezza che lo sviluppo umano procede molto più lentamente rispetto al progresso tecnologico. Da qui, l’urgenza di un impegno formativo, culturale, per il recupero di “un umanesimo dei rapporti” mirato alla valorizzazione della persona, quale che sia lo status sociale, l’etnia, la religione professata, il sesso a cui si appartiene. “Fare memoria” della Shoah è un’opportunità per scuoterci dal torpore etico e spirituale nel quale stagniamo, al fine di assumere un impegno al quale nessuno si può e si deve sottrarre, teso alla riaffermazione e alla testimonianza coraggiosa dei valori di rispetto vicendevole, al di là delle diversità di vedute, di accoglienza gratuita, di amore reciproco, di giustizia solidale, di legalità trasparente.
E’ questo il modo per non rendere inutile e insensata la morte sconvolgente di tutti coloro che furono barbaramente uccisi nei campi di sterminio di Auschwitz, Mauthausen, Buchenwald, Dachau, Bergen Belsen, Treblinka… Siano questi luoghi orrendi di morte un monito per tutti noi, per cominciare, anzitutto a livello personale, nelle nostre coscienze, un rivolta morale, bandendo dalla mente e dal cuore pregiudizi, atteggiamenti preconcetti di condanna, senza enfatizzare i particolarismi e le differenze e valorizzando, al contrario, ciò che unisce, con la conoscenza reale dei nostri simili, priva di prevenzioni. La vera “ingegneria sociale” è l’amore per il prossimo, che porta a scoprire nell’altro, oltre ai difetti e alle debolezze, i pregi e le qualità positive. L’amore, infatti, abolisce le differenze; la violenza, invece, non soltanto marca e cerca di sottolineare le differenze, ma trova perfino delle differenze là dove non ne esistono. Solo l’amore non nota alcuna differenza tra gli esseri umani, o meglio, supera le differenze: le conserva e dà loro un senso senza ritenerle motivo di conflitto.
E’ vigilando su noi stessi, innanzitutto, che possiamo cominciare a ottenere la libertà dal male per compiere il bene. E’ così che, come scrisse Nazim Hikmet in una significativa poesia, “Nasceranno da noi uomini migliori. La generazione che dovrà venire sarà migliore di chi è nato dalla terra dal ferro e dal fuoco (in un mondo dominato dalla guerra, ndr). Senza paura e senza troppo riflettere i nostri nipoti si daranno la mano e rimirando le stelle del cielo diranno: “Com’è bella la vita!”…