Una delle virtù principali del tango, si sa, è l’improvvisazione. E non è un caso che questo ballo abbia trovato terreno fertile dalle parti di Buenos Aires, dove ci si è sempre dovuti inventare qualcosa per superare momenti tanto difficili quanto surreali, come quello che vide cinque presidenti susseguirsi alla guida del paese in poco più di una settimana. Improvvisazione regolata da un caos organizzato, tutto ha una logica illogica in Argentina. E così Buenos Aires è sempre stata crocevia di gente che viene e che va, che perde e che trova, che prima realizza e poi pensa.
E la storia che andiamo a raccontare oggi non poteva che nascere a “La Boca”, uno dei barrios più colorati e pittoreschi della capitale. Tra la gente “che viene e che va” vi erano i componenti degli equipaggi inglesi che, nel tempo libero, giocavano a calcio. Uno sport nuovo che apparve subito familiare agli argentini, che lo fecero prontamente loro. Chissà cosa avrebbero pensato, col senno di poi, i membri degli equipaggi britannici a Buenos Aires tra fine ‘800 e inizio ‘900 davanti alla “Mano de Dios” di Maradona. “Era meglio farci gli affari nostri, sir” – “Elementare, Watson“. E invece hanno giocato e, giocando, hanno trasmesso questa passione agli argentini: senza, chissà se avremmo visto Di Stefano, Sivori e Maradona. E soprattutto chissà se avremmo visto il Superclasico più folle al mondo!
Tutto comincia a “La Boca”e non poteva essere altrimenti. Ammaliati da quei calci dati ad un pallone, alcuni giovanotti del barrio misero in piedi una squadra, sfidarono i marinai inglesi e vinsero. Quella squadra avrebbe dovuto chiamarsi “Juventud Boquense”, che sembra un po’ il nome del futuro “Boca Juniors”, ma prestate attenzione. La Juventud Boquense non arrivò mai a chiamarsi così e prese il nome di Rosales. Nello stesso periodo un’altra squadra, messa in piedi da alcuni ragazzi di origine genovese, nacque a “La Boca”: il Santa Rosa. Ebbene, nessuna di queste due squadre è collegata al Boca Juniors. Anzi, la fusione tra Rosales e Santa Rosa nel 1901 diede vita al… River Plate! Ebbene sì, anche il River è nato a “La Boca”. Addirittura ci è nato prima dei rivali che portano il nome del barrio. Il nome della squadra è la traduzione inglese di “Rio de la Plata”, una scritta che uno dei fondatori vide su delle casse al porto mentre osservava i marinai giocare a calcio. Per quanto riguarda i colori che contraddistinguono il River, ci sono due versioni: una romantica e una pratica. La seconda è legata alla scomodità di giocare con una maglia interamente bianca, quella originaria del club, perché si sarebbe confusa con le casacche delle squadre rivali. Pertanto fu presa della seta rossa dai carri allegorici del carnevale del quartiere di Belgrano (dove, d’altronde, oggi sorge el Monumental) che fu disposta in maniera trasversale sulla divisa. Ma dato che il calcio è romanticismo, a noi piace credere di più alla versione che vede il “bianco” e il “rosso” legati allo scudo di San Giorgio, d’ispirazione per la bandiera di Genova, città a cui la storia del club è strettamente collegata.
Tuttavia se si pensa a “La Boca” è più automatico pensare al “Boca Juniors”, perché espone il barrio nel suo nome ufficiale, ma anche perché il River Plate ha spostato la sua sede prima al barrio “Palermo” e poi a quello ricco di “Nuñez”, scatenando contro di sè l’ira dei “boquensi”. Il Boca invece è nato a “La Boca” e continua a vivere a “La Boca”. La fondazione, avvenuta nel 1905, è un po’ più lineare rispetto a quella dei rivali. Pure in questo caso abbiamo dei protagonisti genovesi, ovvero cinque giovanotti che s’incontrarono a casa di Esteban Baglietto e fondarono il Boca Juniors. I colori, in origine, erano il bianco e il nero. Le divise “originali”, tuttavia, andarono distrutte e allora nel 1907 i ragazzi si recarono al porto aspettando il passaggio della prima nave. Infatti l’idea era quella di dare come colori sociali alla squadra quelli della bandiera della nazione collegata alla prima nave che avrebbero visto. E videro la svedese “Regina Sofia”. E così il Boca Juniors adottò il giallo e il blu.
Una rivalità secolare, quella tra Boca Juniors e River Plate, che s’infiamma quasi in automatico. Le ragioni probabilmente sono legate all’addio del River al quartiere d’origine, un gesto visto quasi come un atto di rinnegamento delle proprie origini. Proviamo a immaginare il Boca e il River come due fratellini nati nello stesso posto, soltanto che poi uno dei due decide di andare altrove a cercare fortuna, la trova e rimane lì, lontano dal posto che lo ha visto nascere. In questo clima nasce il soprannome de “Los Millionarios”, ben supportato dall’acquisto veramente “milionario” di Bernabè Ferreyra nel 1932, il giocatore più pagato della storia per circa 17 anni. Il “Boca” rappresenterebbe invece la “Buenos Aires operaia”, anche se in un calcio sempre più commerciale, nonostante la nomea del “ricco” River, non è che i rivali siano stati a guardare in sede di mercato nel corso degli anni. Quindi non tragga in inganno il soprannome di “Xeinezes”, ovvero i “genovesi”. Nonostante la cultura popolare veda nel popolo ligure uno stereotipo di avarizia, i “genovesi” del Boca hanno tutto tranne che il braccino corto.
Quella della Libertadores non è la prima finale tra le due grandi del calcio argentino, però è certamente quella più importante, tanto da essere stata già definita come la partita del secolo, quando mancano ancora 82 anni di storia calcistica da scrivere. Probabilmente sarà difficile eguagliare la tensione e le emozioni vissute da “Millionarios” e “Xeinezes” in queste settimane. A Buenos Aires, dai bar ai saloni dei barbieri passando per scuole e uffici, non si parla d’altro. E allora vai col tango al “Monumental”, si parte dal 2-2 maturato nell’andata della Bombonera. Ogni pallone brucerà più del sole, che l’arte dell’improvvisazione possa regalarci l’ennesimo spettacolo di genio e sregolatezza. Come solo gli argentini sanno fare.