di Antonio Botta
Mentre i talebani stanno completando l’occupazione dell’Afghanistan, a seguito del ritorno in Patria delle forze militari americane ed europee, è sopraggiunta la brutta notizia della morte di Gino Strada, il chirurgo fondatore di Emergency, Organizzazione umanitaria che assiste e cura le vittime delle guerre che scoppiano in Paesi dell’Oriente, dell’Africa e dell’ America latina, nei quali sono stati costruiti ospedali dalla stessa O. N.G. dell’”amico degli ultimi”. Chiara e netta la posizione di Strada sui conflitti armati: “Come medico , potrei paragonare la guerra al cancro. Il cancro opprime l’umanità e miete molte vittime: significa forse che tutti gli sforzi compiuti dalla medicina sono inutili? Al contrario, è proprio il persistere di questa devastante malattia che ci spinge a moltiplicare gli sforzi per prevenirla e sconfiggerla. Concepire un mondo senza guerra è il problema più stimolante al quale il genere umano debba far fronte. È anche il più urgente”.
Lo sconvolgimento del cuore e le dolorose lacerazioni che gli effetti delle aggressioni belliche su civili e militari determinarono in lui, lo spinsero a spendere la sua vita, in piena sintonia d’intenti con la moglie Teresa Sarti, morta nel 2009 per tumore, per i tanti corpi gravemente mutilati dopo essere stati colpiti da ordigni micidiali “Ho operato migliaia di persone, ferite da proiettili, frammenti di bombe o missili. A Quetta, la città pakistana vicina al confine afgano, ho incontrato per la prima volta le vittime delle mine antiuomo. Ho operato molti bambini feriti dalle cosiddette ‘mine giocattolo’, piccoli pappagalli verdi di plastica grandi come un pacchetto di sigarette. Sparse nei campi, queste armi aspettano solo che un bambino curioso le prenda e ci giochi per un po’, fino a quando esplodono: una o due mani perse, ustioni su petto, viso e occhi. Bambini senza braccia e ciechi. Conservo ancora un vivido ricordo di quelle vittime e l’aver visto tali atrocità mi ha cambiato la vita”.
Strada condivideva pienamente le posizioni del compianto giornalista Tiziano Terzani, corrispondente di guerra, quindi anch’egli testimone diretto degli orrori che producono i conflitti armati, in merito alle scelte dei Paesi dell’Occidente, dopo l’attacco alle Torri Gemelle del 10 settembre 2001, di risolvere il problema del terrorismo uccidendo i terroristi, bombardando l’Afghanistan per colpire Osama Bin Laden e i covi dove erano nascosti i talebani. Il chirurgo, che ha testimoniato “sul campo” i valori della solidarietà e dell’altruismo, ha ribadito anche nell’ultimo suo articolo, pubblicato ieri sul quotidiano “La Stampa”, che fu una scelta scellerata quella di intervenire militarmente in Afghanistan, scelta fatta propria anche dall’Italia, che partecipò alla missione militare, a difesa, come si sostenne 20 anni fa, “della democrazia e della libertà”. Per Strada e Terzani fu un errore clamoroso: il terrorismo, sostenevano con fermezza, si vince non ricorrendo alla violenza, ma eliminando le ragioni che lo rendono tale. Scriveva Terzani, a tal proposito, in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 4 ottobre 2001: “Il terrorista che ora ci viene additato come il “nemico” da abbattere è il miliardario saudita che, da una tana nelle montagne dell’Afghanistan, ordina l’attacco alle Torri Gemelle,; è l’ingegnere – pilota, islamico fanatico che in nome di Allah uccide se stesso e migliaia di innocenti; è il ragazzo palestinese che con una borsetta imbottita di dinamite si fa esplodere in mezzo a una folla. Dobbiamo però accettare che per altri il “terrorista” possa essere l’uomo d’affari che arriva in un paese povero del Terzo Mondo con nella borsetta non una bomba, ma i piani per la costruzione di una fabbrica chimica che, a causa di rischi di esplosione e inquinamento, non potrebbe mai essere costruita in un paese ricco di primo Mondo. E la centrale nucleare che fa ammalare di cancro la gente che ci vive vicino? E la diga che disloca decine di migliaia di famiglie? O semplicemente la costruzione di tante piccole industrie che cementificano risaie secolari, trasformando migliaia di contadini in operai per produrre scarpe da ginnastica o radioline, fino al giorno in cui è più conveniente portare quelle lavorazioni altrove e le fabbriche chiudono, gli operai restano senza lavoro e non essendoci più i campi per far crescere il riso e la gente muore di fame?
Gli attentati terroristici, avvenuti nel corso degli ultimi venti anni in Europa, hanno dimostrato che Strada e Terzani avevano ragione: la violenza chiama altra violenza, le armi di distruzione di massa sempre più sofisticate rendono sempre più le guerre, “avventure senza ritorno”, come affermò l’allora Papa Giovanni Paolo II. Qualche giornale, comunicando la notizia, in prima pagina, della morte di Gino Strada, lo ha definito “utopista”. Eppure, stando agli eventi terribili accaduti nel corso degli ultimi venti anni dall’attentato alle “Torri Gemelle” va puntualizzato con forza che egli, mai arrendendosi all’inevitabilità dei conflitti armati, era un saggio realista: quel saggio realismo che lo accomunava a Einstein, il quale poco prima di morire nel 1955, rivolgendo all’umanità l’ultimo appello per la sua sopravvivenza disse: “Ricordatevi che siete uomini e dimenticatevi tutto il resto; lo stesso saggio realismo di Terzani che scrisse: “Un mondo più giusto è forse quel che noi tutti, ora più che mai, potremmo pretendere. Un mondo in cui chi ha tanto si preoccupa di chi non ha nulla; un mondo retto da principi di legalità e ispirato ad un po’ di moralità”; il saggio realismo, infine, di Papa Francesco che nell’enciclica “Fratelli tutti” ha puntualizzato che la guerra non è un fantasma del passato, bensì una minaccia costante e rappresenta la negazione di tutti i diritti, il fallimento della politica e dell’umanità, “la resa vergognosa alle forze del male. Inoltre, a causa delle armi nucleari, chimiche e biologiche che colpiscono molti civili innocenti, oggi non si può pensare, come in passato, ad una possibile guerra giusta, ma bisogna affermare con forza: “Mai più guerra”!. E considerando che viviamo “una terza guerra mondiale a pezzi”, perché tutti i conflitti sono connessi fra loro, l’eliminazione totale delle armi nucleari è un imperativo morale ed umanitario”. Piuttosto con il denaro che si investe sugli armamenti si costituisca un fondo mondiale per eliminare la fame”.
Mi ha colpito particolarmente l’affermazione di Cecilia, figlia di Strada, che, commentando la morte del padre, ha dichiarato che non gli era vicino al momento della sua morte, perché era impegnata in mare a salvare vite umane, altri profughi che scappavano dalle guerre, dalle miserie, da condizioni disumane di vita. Quindi stava facendo ciò che gli avevano insegnato i suoi genitori. Un’altra lezione di grande civiltà e umanità che ci lascia Gino Strada, come padre ed educatore! In una società “orfana” di padri, il papà di Cecilia mostra a tutti la qualità di una paternità responsabile, avendo insegnato, con la testimonianza di premura e di cura verso i deboli, di qualsiasi etnia, religione , militanza politica fossero, i valori universali dell’accoglienza, della bontà e della gratuità, pienamente consapevole della dignità inalienabile di ogni persona, oltre ogni muro, barriera, pregiudizio. Allora un grazie a te, Gino, anche per aver proposto a tua figlia e a tutti i giovani un esempio di padre forte d’amore, di adulto autorevole, di genitore presente nella capacità di offrire la bellezza di “sognare” in grande una vita ricca di significato, dove può emergere il meglio di sé, mettendo da parte il «culto del sé».