Le variabili economiche del nostro Paese dicono che vantiamo, si fa per dire, il tasso di disoccupazione più alto tra tutti i paesi comunitari. Ancor più paradossale la situazione italiana appare se si pongono a confronto le due differenti situazioni del nord, nel quale il tasso di disoccupazione si aggira intorno al 12%, del sud nel quale lo stesso tasso schizza al 25%. Due autentiche differenti economie che, rendono perfettamente l’idea di un disastro chiamato lavoro. A nulla sono serviti i provvedimenti emanati dai vari governi negli anni della grande depressione accompagnati da autentici fiumi di danaro che sono
andati ad ingrossare più le tasche dei politici e della malavita che favorire gli investimenti.
La stessa area a nord di Napoli e più in particolare Casoria dovevano, negli anni cinquanta, quando furono aperte le prime fabbriche, rappresentare i prodromi di una nuova industrializzazione alternativa al golfo di Napoli. Ebbene che cosa ne è stato di tutti quegli opifici? La Resia, la Rhodiatoce, la Tubibonna, la Dyrup, la C.G.S. e le altre? Tutti inesorabilmente chiusi a partire dagli anni 70 in cui il gigante buono dell’IRI era a pieno regime. Passati gli anni della Cassa Integrazione e di tangentopoli, le regole sono cambiate. Sono venute meno le commesse, quindi i soldi dello Stato; investire è diventato sempre più difficile a causa del costo del lavoro rimasto, soprattutto al sud, troppo elevato. Tutto ciò ha prodotto un unico risultato, la disoccupazione. Di questo fenomeno se ne fa un gran parlare, soprattutto da parte degli organi che detengono il potere esecutivo ma pochi restano gli interventi concreti.