Affermava l’apostolo Paolo di Tarso che l’amore è incompatibile con l’ipocrisia, ma, se dipendesse dall’ultima commedia degli equivoci messa in scena al Teatro Sociale “Giorgio Busca” di Alba dalla Compagnia di Luca De Filippo, figlio del grande Eduardo De Filippo, così potrebbe non sembrare. Stiamo parlando di “Le bugie con le gambe lunghe”, rappresentazione dalle forti tinte irriverenti, e a volte persino grottesche, ideata negli anni della Seconda Guerra Mondiale dallo stesso scrittore di “Napoli Milionaria!” e “Filumena Marturano” e messa in scena con grande successo a partire dal 1947.
Al centro della narrazione proposta da questa piéce teatrale, caratterizzata dalle ottime scenografie di Gianmaurizio Fercioni, dai fondali evocativi di Giacomo Costa e dai costumi dallo stile retrò di Silvia Polidori, si trova l’ironica denuncia della società borghese italiana del secondo dopoguerra, basata più sulla menzogna come deterrente sociale che sulla ricerca di veri valori. Da
un lato del palcoscenico, il protagonista, Libero Incoronato, povero consulente filatelico che con la sua onestà innata rappresenta l’unica ancora di stabilità economica e morale per la sorella Costanza (Fulvia Carotenuto), con la quale coabita in un fatiscente, ma dignitoso, appartamento napoletano, dall’altro lato la costante e pretestuosa esaltazione del quieto vivere da parte dei ricchi vicini di casa, contornata da comportamenti biechi, meschini ed individualistici e dalla falsità perpetuata a livello di filosofia esistenziale.
Nella Napoli intimista e corale qui rappresentata, a differenza di quanto affermato dal noto aforisma collodiano, a cui si richiama chiaramente la citazione nel titolo dell’opera, le bugie appaiono con le gambe decisamente molto lunghe e riescono a durare per un tempo alquanto consistente, quasi per sempre, arrivando persino a simboleggiare il pilastro morale sul quale è poggiata tutta la società: sono un fulgido esempio di questa affermazione i diversi rapporti extramatrimoniali e adulterini che i coniugi Cigolella (Massimo De Matteo e Carolina Rosi) stentano a nascondersi l’un l’altra, anche con metodi farseschi e con la complicità di amici, parenti e sottoposti.
Fin dal principio della narrazione, il personaggio di Libero, tratteggiato da un Luca De Filippo in stato di grazia che riesce nell’intento di non far dimenticare la mimica interpretativa del padre, viene presentato come l’incarnazione più profonda della volontà di intervento in scena, propria dello spettatore: se un qualsiasi esponente del pubblico in sala potesse partecipare alla scene proposte, con tutta probabilità si comporterebbe esattamente come lui, compirebbe le sue stesse scelte, persino gli stessi errori, e, posto di fronte alle conseguenze delle proprie azioni, reagirebbe con lo stesso stupore e la stessa meraviglia.
L’artificio illusorio della recitazione, sia come ruolo nello spettacolo che come scelte di vita dei personaggi proposti, viene in questo modo portato alla luce e a chi assiste divertito al susseguirsi dell’azione sul palcoscenico non resta che chiedersi se quanto accade sia ancora parte del programma o stia in realtà divenendo la metafora metateatrale e trascendente della propria realtà di tutti i giorni; come se fossero gli attori stessi a parlare apertamente e schiettamente alle persone sedute davanti a loro, denunciando la mancanza di rapporti umani sinceri propria dei nostri tempi.
Il rapporto con l’amore, impersonato dall’ex entreneuse Graziella (Gioia Miale), è destinato dalla trama a restituire risalto alla verità contaminata dall’ipocrisia dell’ambiente circostante, ma sarà proprio la bugia più evidente e paradossale a restituire onorabilità ai valori familiari nel finale e a dare un senso vivibile e accettabile alle circostanze che si sono create. Come disse un tempo il grande Eduardo De Filippo:“Lo sforzo disperato che compie l’uomo, nel tentativo di dare alla vita un qualsiasi significato, è teatro.”. Si può solo aggiungere che tale sforzo va applicato all’esistenza di tutti i giorni ed è giusto che sia rappresentato sul palcoscenico affinchè lo spettatore, nella proiezione delle situazioni reali in cui vive, ritrovi se stesso in conflitti quotidiani che non sempre riesce a vivere ed appianare senza abili coperture e tentativi disperati di autodifesa.
La scheda
Genere: commedia.
Compagnia: Compagnia di Teatro di Luca De Filippo.
Regia: Luca De Filippo.