Alla Camera la maggioranza si compatta per “salvare” Pietro Lunardi. L’Aula di Montecitorio ha deciso, con 292 sì e 254 no, di rinviare al Tribunale dei Ministri di Perugia gli atti relativi all’autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex responsabile delle Infrastrutture, accusato di corruzione con altri coimputati tra cui la “cricca” di Angelo Balducci ed il cardinale Crescenzio Sepe, oggi arcivescovo di Napoli ed a suo tempo prefetto di Propaganda Fide, nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti del G8. Contro hanno votato Pd, Idv e Udc; ma nel tabellone di voto, tra le lucette rosse dei centristi si sono accese due luci bianche: segnalavano l’astensione di Rocco Buttiglione e di Mario Tassone. A favore ha votato anche Fli; anche al momento del voto dieci deputati finiani non erano in Aula.
Nella Giunta per le Autorizzazioni il centrodestra aveva fatto valere a maggioranza un principio, che l’Aula ieri ha recepito: senza conoscere la posizione anche degli altri soggetti coimputati con Lunardi non è possibile decidere nel merito. I magistrati di Perugia che accusano Lunardi non hanno finora accolto la richiesta della maggioranza di inviare a Montecitorio anche gli atti relativi agli altri coimputati; da qui la scelta di rinviare gli atti a Perugia, motivata da Maurizio Paniz (Pdl) “non per salvaguardare un privilegio, ma solo per garantire che la giustizia operi in modo corretto, senza prevaricazioni di metodo magari attraenti sul piano mediatico ma inaccettabili”.
I magistrati di Perugia, dunque, almeno per ora non potranno indagare su Lunardi (il reato contestato è “corruzione propria”) per l’acquisto di un intero palazzo in via dei Prefetti a Roma, a due passi dai palazzi del potere. Cinque piani cielo-terra che l’allora ministro, secondo la relatrice di minoranza Marilena Samperi (Pd), ha ottenuto da Propaganda Fide per tre milioni di euro: un prezzo di favore, “visto che il valore di mercato dell’immobile, si aggira sugli otto milioni”. In cambio, sostiene Samperi, nel 2005 Propaganda Fide avrebbe ricevuto da Lunardi un finanziamento di 2.5 milioni di euro per il restauro del suo palazzo in piazza di Spagna. Nello sfondo della vicenda c’è la “cricca” dell’ex provveditore delle Opere pubbliche Angelo Balducci, che per questo affare avrebbe fatto da mediatore, dell’imprenditore romano Diego Anemone e dell’architetto Angelo Zampolini.
Inizialmente, la Giunta della Camera era orientata a concedere subito l’autorizzazione a procedere su Lunardi; ma la maggioranza ha chiesto anche gli atti relativi ai coimputati, tra cui rientra anche il cardinale Sepe: atti che non sono mai stati trasmessi a Montecitorio dai giudici perugini, che Giuseppe Consolo (Fli) ha accusato in Aula di “aver omesso di svolgere quel ruolo di filtro e di sommario vaglio dei fatti ipotizzati che il sistema normativo sui reati ministeriali attribuisce loro”.
L’opposizione ha protestato. Parlando di “brutto giorno per la Giustizia, per la legalità e la lotta alla corruzione”, Marilena Samperi ha detto che “le eccezioni procedurali opposte dalla maggioranza sono tutte inconsistenti”. Duro anche il giudizio di Federico Palomba dell’Idv, secondo relatore di minoranza, che ha parlato di “prepotenza e prevaricazione per salvare un membro della casta”. E, rivolgendosi a sorpresa a Gianfranco Fini, che presiedeva i lavori d’Aula, il dipietrista ha fatto aleggiare nell’Emiciclo l’”affaire Montecarlo”, “Di fronte all’affare colossale dell’acquisto di un palazzetto che vale tre volte tanto” il prezzo pagato, “a una sequela di fatti di questo genere, a Scajola cui pagano a suo insaputa un appartamento al Colosseo, alle ville di Antigua del premier provo un pochino di ulteriore compassione nei suoi confronti, presidente, visto che e’ stato tenuto sotto la graticola e sotto il manganello mediatico per una miseria di 70 metri quadri…”.
Immediata, dopo il voto, la reazione di Pietro Lunardi. “Oggi è stato fatto un primo passo importante per fare chiarezza”, ha detto soddisfatto l’ex ministro.