Denunciati dal Dirigente scolastico i quattro rappresentanti degli studenti dell’ Istituto comprensivo “Gandhi”, per l’occupazione della scuola avvenuta il 7 Dicembre, peraltro per pochissimo tempo, essendo intervenute tempestivamente le forze dell’ordine su segnalazione del Capo d’istituto. I genitori dei giovani sono stati avvisati dell’avvenuta denuncia dai Carabinieri di Casoria.
E ora cosa succederà? “Quando la Procura della Repubblica” – spiega una mamma degli studenti denunciati –“ci comunicherà il giorno in cui occorre presentarsi davanti all’autorità giudiziaria, bisognerà che ogni famiglia si carichi dell’onere finanziario di assumere un legale per la difesa del proprio ragazzo”. Sappiamo bene che l’occupazione costituisce un’azione illegale e che i Dirigenti scolastici , come ha fatto il Capo d’istituto del “Gandhi”, avvalendosi della normativa vigente, possono fare intervenire le forze dell’ordine, a seguito di una denuncia circostanziata. Ma ci si chiede se tale scelta non sia stata eccessiva, considerando che gli studenti non hanno commesso atti di vandalismo, né si sono resi protagonisti di episodi gravissimi, meritevoli di essere condannati. Non sarebbe stato, forse, opportuno, come hanno fatto diversi Dirigenti, prima di ricorrere alla denuncia, tentare un dialogo con i ragazzi, per porsi sulla loro stessa lunghezza d’onda, addivenendo, in qualche modo, ad una soluzione ragionevole? Compenetriamoci per un attimo nelle loro istanze: è vero che ci sono coloro che non aspettano altro che di concedersi un periodo di vacanza, ma per tanti altri la protesta studentesca, che si attua anche con l’occupazione dell’edificio scolastico, è un modo partecipativo di prendere parte alla vita politica fin da giovanissimi e di far sentire “la propria voce” in merito a provvedimenti legislativi in materia scolastica che non sono condivisi dagli studenti, imbufaliti per i tagli all’istruzione e per le nuove misure adottate dalla riforma Gelmini.
Ci si sarebbe aspettato, prima di ricorrere alla scelta estrema della denuncia, che il Dirigente del Gandhi concordasse, insieme con i rappresentanti degli studenti, un’assemblea con tutti i ragazzi, per discutere democraticamente, insieme anche ai professori, dei punti focali della protesta. Sarebbe stata una preziosa occasione di dialogo costruttivo, offrendo agli studenti l’opportunità di manifestare le loro paure in merito ad un futuro incerto, senza prospettive occupazionali, di ascoltare le loro proposte e di discutere con loro della riforma universitaria, ma anche delle problematiche del territorio, della scuola che frequentano, aumentando, in tal modo, in loro, una maggiore consapevolezza di sé e del mondo in cui vivono.
“Prima li accusano di essere dei bamboccioni” – commenta amareggiata la stessa mamma che mi ha comunicato la notizia della denuncia – “e poi quando lottano per i loro diritti, sono trattati come dei delinquenti! Forse i nostri figli, ammettiamolo pure, hanno scelto una forma di protesta, quella dell’occupazione di un edificio pubblico, che non è avvenuta nei limiti delle regole imposte dalla nostra convivenza civile, ma la reazione del Preside, considerato anche l’atteggiamento, ben diverso, assunto da tanti suoi colleghi, ci è sembrata francamente sproporzionata: nell’esercizio di una funzione educativa così importante e delicata, quale quella di dirigente di una scuola, occorrono doti di pazienza, di ragionevolezza, capacità di mediazione, di ascolto attivo, di interazione costruttiva, di apertura al dialogo. Denunciando i quattro rappresentanti degli studenti, il Capo d’istituto del liceo polispecialistico “Gandhi” ha agito impulsivamente e, quindi, ha dimostrato di non possederle”.
Ribadisco: se dal punto di vista giuridico – formale la decisione del Dirigente non fa una piega, essendo stata occupata una struttura in cui viene svolto un importante e fondamentale servizio pubblico, interrotto volutamente per protesta, sollevando la questione sul piano strettamente educativo è da sottolineare che occorre, a mio avviso, porre maggiore attenzione ai processi collettivi di ricostruzione civile. Ciò significa, escludendo ogni atto autoritario, pur se di per sé legittimo, compiere scelte e azioni di vario tipo mirate alla formazione delle giovani generazioni, che vanno orientate con pazienza e costanza a riconoscere il valore di un benessere sociale e di un’etica collettiva basata sulla responsabilità, sulla reciprocità e sul bene comune.