“Un goal ti fa esultare si sa, e vincere una partita è importante ed emozionante. Battere, poi, per esempio, a Torino, la Juve 1 a 3 (la presa di Torino), è assistere al miracolo. Ma vincere uno scudetto… vincere uno scudetto è… una cosa… che ti lascia senza parole, ti stringe il cuore e resti muto, senza peso. E’… una cosa… che ti fa piangere, solo piangere, di felicità, assoluta, perché hai vissuto la vita giusta, quella in cui la tua squadra, la tua città (una a caso…), hanno vinto lo scudetto”.
Me l’ha detto Peppe, un amico mio tifoso (uno a caso…).
E chi non c’era, o perché non ci è potuto essere o perché addirittura non era ancora nato il dieci maggio dell’ottantasette? Cosa si è perso di quel “giorno felice”?
Raccontare.
Ecco quale deve essere il nostro impegno, il nostro dovere-piacere, la nostra necessità che si rinnova in una nuova avventura: lo spettacolo del racconto.
Il racconto di una giornata preceduta da una notte insonne sospesa tra l’ansia e il pianto.
E non può essere che un’esplosione di ricordi di istanti felici che generano movimento, perché al contrario di quelli di beckettiana memoria non determinano staticità, ma sono un magma in eruzione, energia vitale di riscatto , desiderio di rinnovamento.
I protagonisti non sono immobilizzati, ma gravidi e pronti a partorire.
Se ci fosse Winnie a raccontare, testimone oculare di quel giorno felice fatidico, non lo farebbe interrata fin sopra alla vita, dentro un monticello, ma sbucando come un pennacchio dal cono di un vulcano (uno a caso…) mai spento e gravido di magma-ricordi, o lasciando una luna sospesa, camminando tra i ricordi vogliosa di comunicare, di raccontare.
Una spiaggia magica, un padre, una figlia, un meccanico, un ragazzo di bottega, una madre in sogno, un altro padre, un figlio, un altro mondo…
Tutti raccontano il disperato bisogno di essere ascoltati e la necessità di una fede e di una passione.
Massimo De Matteo