“Per sempre lasciate che questo posto sia un grido di disperazione e un avvertimento per l’umanità”: e’ l’ammonimento letto dal Papa sulle lapidi commemorative nel Monumento di Birkenau, dedicato alle Vittime delle Nazioni. Con il suo silenzio colmo di compassione e di profonda sofferenza, Francesco, il 29 Luglio scorso, ha voluto lasciare spazio nel suo cuore e nel nostro ai lamenti, pianti e urla di dolore dei Giusti, vilipesi nella loro dignità, torturati, schiacciati, tormentati, spietatamente uccisi.
E, infatti, le immagini del Santo Padre, in assorta preghiera e meditazione durante il peregrinare nell’abisso del Male, si avvicendavano, durante la ripresa televisiva, a quelle di donne, bambini, giovani e anziani deportati, ammassati come bestie, stravolti e muti, quasi increduli loro stessi delle atrocità subìte senza una ragione, prive di qualsiasi senso.
Quel silenzio, dunque, è stato più eloquente di qualsiasi discorso, dirompente “più di un tuono”, ha osservato qualche giornalista. Con i Suoi gesti (il toccare il muro dove avvenivano le fucilazioni, il bacio del palo delle impiccagioni) e il Suo sguardo contratto, la mano sul cuore, Francesco ci ha esortato a non dimenticare un evento storico raccapricciante e abietto, nel quale la dignità di milioni di uomini fu umiliata, calpestata, negata. Se si affievolisce la vigilanza, se non teniamo desto l’orrore per ciò che è accaduto a donne, bambini, uomini ebrei nei campi di sterminio, grande è il rischio di un’assuefazione lenta, ma inesorabile, al male, cancro dello spirito che travolge i valori sui quali si fonda una società civile, sviluppando la metastasi perniciosa dell’indifferenza e della conseguente dimenticanza. E’ così, allora, che non emerge più l’indignazione per le gravi ingiustizie che ledono la dignità di tanti uomini (migliaia di bambini, ogni giorno, continuano a morire letteralmente di fame), per tutte le forme di violenza fisica e psicologica che una moltitudine di esseri umani subiscono, per lo stato di umiliante sudditanza in cui sono tenute milioni di donne da padri e mariti padroni, per l’abuso del loro corpo e di quello di bambini, vittime inconsapevoli di esseri immondi, per la facilità con cui si attenta alla vita di moltissime persone in conflitti spesso indotti per i turpi profitti ricavati dal commercio delle armi, per la “mattanza” provocata dal terrorismo di radici islamiche.
“Mai dimenticherò quel fumo” ,ha scritto Elie Wiesel, sopravvissuto ebreo, “mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia fede. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegl’istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni,che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò anche se fossi a condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai!” Silente e orante il Papa nel luogo dell’abominio, per dare voce ai tanti Wiesel, per affermare, questa volta con la forza dello spirito, il recupero di “un umanesimo dei rapporti” mirato alla valorizzazione della persona, quale che sia lo status sociale, l’etnia, la religione professata, il sesso a cui si appartiene. Anche chi ha seguito Francesco, assistendo in TV al Suo muto pellegrinaggio , ha meditato e pregato con Lui dicendo a se stesso che occorre scuoterci dal torpore etico e spirituale nel quale stagniamo, al fine di assumere un impegno a cui nessuno si può e si deve sottrarre, teso alla riaffermazione e alla testimonianza coraggiosa dei valori di rispetto vicendevole, al di là delle diversità di vedute, di accoglienza gratuita, di amore reciproco, di giustizia solidale, di legalità trasparente. E’ questo il modo per non rendere inutile e insensata la morte sconvolgente di tutti coloro che furono barbaramente uccisi nei campi di sterminio di Auschwitz, Mauthausen, Buchenwald, Dachau, Bergen Belsen, Treblinka… Siano questi luoghi orrendi di morte un monito per tutti noi, per cominciare, anzitutto a livello personale, nelle nostre coscienze, un rivolta morale, bandendo dalla mente e dal cuore pregiudizi, atteggiamenti preconcetti di condanna, senza enfatizzare i particolarismi e le differenze e valorizzando, al contrario, ciò che unisce, con la conoscenza reale dei nostri simili, priva di prevenzioni. La vera “ingegneria sociale” è l’amore per il prossimo, che porta a scoprire nell’altro, oltre ai difetti e alle debolezze, i pregi e le qualità positive. L’amore, infatti, abolisce le differenze; la violenza, invece, non soltanto marca e cerca di sottolineare le differenze, ma trova perfino delle differenze là dove non ne esistono. Solo l’amore non nota
alcuna differenza tra gli esseri umani, o meglio, supera le differenze, le accoglie e le valorizza senza ritenerle motivo di conflitto.
E’ vigilando su noi stessi, innanzitutto, che possiamo cominciare a ottenere la libertà dal male per compiere il bene. E’ così che, come scrisse Nazim Hikmet in una significativa poesia, “Nasceranno da noi uomini migliori. La generazione che dovrà venire sarà migliore di chi è nato dalla terra dal ferro e dal fuoco (in un mondo dominato dalla guerra, ndr). Senza paura e senza troppo riflettere i nostri nipoti si daranno la mano e rimirando le stelle del cielo diranno: “Com’è bella la vita”!
Antonio Botta