A qualche tifoso della Stella Rossa saranno brillati gli occhi alla lettura del virgolettato di De Laurentiis che paventava l’ipotesi per il Napoli di giocare le gare interne al San Nicola di Bari. Già, perché proprio nell’impianto pugliese si consumava, il 29 maggio del 1991, il momento più alto della storia del calcio serbo. La Stella Rosa s’impose nella finale di Coppa dei Campioni, dagli 11 metri, sui francesi del Marsiglia e alzò al cielo di Bari la coppa dalle grandi orecchie. Ma dopo la vetta c’è la discesa, solo che la caduta dall’Olimpo per la formazione serba e, in generale, tutto il movimento calcistico jugoslavo fu repentina e dolorosa. L’anno successivo, nonostante la qualificazione ottenuta sul campo, la Jugoslavia venne esclusa dall’Europeo, sostituita dalla Danimarca che, clamorosamente, si laureò addirittura Campione d’Europa.
In realtà non è che il 29 maggio 1991 fosse tutto “rose e fiori”. Malumori e segni tangibili di sgretolamento imperversavano in una sempre più frammentata Jugoslavia, ormai attorcigliata nella morsa del nazionalismo. Così a poco meno di un mese dalla vittoria della Stella Rossa in quel di Bari, arrivarono i primi significativi eventi che portarono, nel giro di poco, alla fine della Jugoslavia. Prima di addentrarci nei fatti, è bene precisare che la Jugoslavia aveva un assetto istituzionale di Stato diviso in sei repubbliche socialiste (Bosnia&Erzegovina, Croazia, Macedonia, Montenegro, Serbia e Slovenia) e due provincie autonome “imposte” alla Serbia, ovvero quelle della Vojvodina e di Kosovo.
La Slovenia dichiarò l’indipendenza dalla “Repubblica Federale” e, seppur con la “Guerra dei dieci giorni”, la sua secessione da Belgrado fu abbastanza immediata, anche a causa dell’integrità etnica del paese e del supporto politico di Vaticano, Austria e Germania, con i crucchi che ne riconobbero da subito l’indipendenza e ne tirarono la volata per l’ingresso nella CEE. A scatenare la vera e propria ondata di violenza fu, invece, la dichiarazione d’indipendenza della Croazia. Per quale motivo? In Croazia vi era una vastità di territori abitati da serbi e a qualcuno sembrava inaccettabile che territori abitati da serbi fossero, in qualche modo, slegati dalla madrepatria. Questo qualcuno era Slobodan Milosevic, divenuto presidente della Serbia nel 1989. Ideologia alla base della sua azione politica era quella della “Grande Serbia”, concetto nazionalistico che prevede l’unità di tutti i territori abitati da serbi.
Primo atto che va in questa direzione è la modifica della costituzione serba in chiave fortemente centralistica, con conseguente riduzione di autonomia ai danni del Kosovo. Ma l’esplosione del nazionalismo serbo si ha quando, come dicevamo, la Craozia dichiara l’indipendenza dalla Repubblica Federale di Jugoslavia. Comincia una guerra lunga e dolorosa, che ben presto si trasformerà in un tutti contro tutti. Ad affiancare il presidente Milosevic ci sarà un uomo spietato: Zeljko Raznatovic. Un nome che probabilmente non vi dirà nulla fino a quando non menzioneremo il suo soprannome: Arkan. Spia per la polizia segreta jugoslava e, contestualmente, insaziabile rapinatore a mano armata in giro per l’Europa, è solo negli anni ottanta che fa ritorno “fisso” a Belgrado, dove lavoro alla sicurezza di una discoteca e arriva a diventare leader degli ultras della Stella Rossa. Riesce nel “duro compito” di compattare tutte le frange della tifoseria della Crvena Zvezda e quando scoppia la “Guerra d’Indipendenza croata”, lui si erge a capo della Guardia Volontaria Serba, unità di circa 3000 volontari passata poi alla storia con il nome di “Le Tigri di Arkan”.
Il nome di “Tigri” fu voluto proprio da Arkan, in onore di un piccolo tigrotto che lui asseriva di aver rubato dallo zoo di Zagabria. La SDG guidata da Raznatovic, ad ogni modo, si rese protagonista di una vera e propria pulizia etnica ai danni di chi aveva come unica colpa quella di non essere serbo e collaborò anche con Mladic al genocidio di Sebrenica. La fine dell’attività delle “Tigri di Arkan” avviene contestualmente all’ultimo giorno della “Guerra in Bosnia” del 1995, con un’ormai ex Jugoslavia lacerata nel volto e nell’animo. Uno degli episodi che è più legato alle “Tigri di Arkan” è quello della battaglia di Vukovar. Erano i primi mesi della guerra scoppiata con i croati in seguito alla loro dichiarazione d’indipendenza e Vukovar era una “conquista simbolica” che i serbi volevano a tutti i costi. Così, dopo diversi mesi di assedio, la cittadina croata cadde nelle mani serbe. Un evento che fu celebrato dai tifosi della Stella Rossa, in una stracittadina contro il Partizan, con l’esposizione di cartelli con su scritto “Benvenuti a Vukovar”. In realtà, però, per i serbi fu una sorta di “Vittoria di Pirro”, perché i fatti di Vukovar catturarono l’attenzione dei media occidentali e favorirono un supporto più esteso a favore della neonata Croazia.
Ma torniamo ad Arkan, capo-ultras della Stella Rossa e leader delle “Tigri”. Con la fine della guerra in Bosnia nel 1995, come già detto, termina pure l’attività delle Tigri di Arkan. Così Raznatovic “torna alla vita di tutti i giorni”,ma questa volta non nelle vesti di criminale in giro per l’Europa, ma di “titolare di una pasticceria” nel cuore di Belgrado. Prova a diventare presidente della Stella Rossa e non ci riesce, allora decide di acquisire l’FK Obilic, un’altra squadra della capitale che militava nella seconda serie serba. Tra minacce ad arbitri e giocatori avversari e, addirittura, la leggenda metropolitana di gas sedativi negli spogliatoi rivali, l’Obilic raggiunge la massima serie e si laurea pure “Campione di Serbia”, rompendo lo stradominio durato 27 anni dell’accoppiata Stella Rossa-Partizan. Così la squadra di Arkan arrivò a giocare anche i preliminari di Champions League, non prima però di aver rinunciato alla “Tigre” come suo presidente. Johansson, presidente della UEFA, minacciò l’esclusione della squadra dalle competizioni europee a causa di una presidenza così ingombrante, così Arkan fu costretto a cedere lo scettro del potere alla moglie Svetlana, cantante molto apprezzata in patria. Raznatovic progettò anche l’omicidio del massimo vertice del UEFA, salvo poi rinunciarci per mancanza di opportunità. L’Obilic fu eliminato al preliminare dal Bayern Monaco, con Arkan che non potette seguire la trasferta in terra tedesca a causa di un divieto di accesso in Germania in seguito alle attività criminose condotte in giro per l’Europa prima del ritorno fisso in Serbia.
Alle 17:05 del 15 gennaio 2000, per mano di Dobrosav Gavric, un giovane poliziotto di soli 23 anni, Arkan trovò la morte nella hall dell’Intercontinental Hotel di Belgrado. Ironia della sorte, lo stesso in cui si tenne il ricevimento per festeggiare il matrimonio con Svetlana nel 1995. Nonostante lo “schiaffo” alla sua Stella Rossa formalizzato con l’acquisizione dell’Obilic, Arkan è molto osannato dalla tifoseria del club. Anzi, secondo i bene informati molte delle “Tigri” della SGD fanno ancora parte delle frange ultras della Crvena Zvezda e affollano la curva del caldissimo Marakana di Belgrado in tutte le gare interne della Stella Rossa.