Mi fermo, ci penso, non ci credo. Sono passati solo 4 mesi da quella notte di luglio in cui il Giffoni rese omaggio al grande Eduardo con la proiezione di “Eduardo e i Burattini”, un docu-film incentrato su due commedie del grande artista partenopeo recitate dai burattini, doppiati da voci note al mondo dello spettacolo. Tra cui quella di suo figlio Luca, presente quella sera in sala. Io ero lì, in una delle primissime file. Così come, il giorno successivo, ero alle Antiche Ramiere per la Masterclass, proprio con Luca De Filippo.
Alla prima domanda, “chi è Luca De Filippo?”, rispose con un emblematico: “pare che stiamo da Marzullo”. Un biglietto da visita firmato dalla scoppiettante spontaneità dei napoletani. Ci parlò anche del rapporto con un cognome così importante e del primo, vero, debutto all’età di 20 anni. “Io interpretavo “Il figlio di Pulcinella” e decisi di farmi inserire in cartello con il nome di Luca della Porta, anche per evitare la pressione del debutto “del figlio di Eduardo”. Qualcosa, però, rovinò i miei piani. Nel giorno del debutto, infatti, su “Il Mattino”, una parentesi comparve davanti a Luca della Porta. In quella parentesi c’era scritto ‘pseudonimo di Luca De Filippo, il figlio di Eduardo’. Ora tutti sapevano chi ero” ci raccontò, con un sorriso sul volto. Un sorriso, sotto quei baffi, così puro. Un sorriso che non riesco a dipingere con le sole parole.
Avevo la mano alzata, volevo fargli una domanda. Volevo chiedergli: “Ma nella realtà, a lei, il presepe piace?”. Ma dopo il racconto che vi ho menzionato poco fa, decisi di abbassare la mano. Mi dissi: “Luca non è un semplice figlio d’arte, Luca è figlio dell’arte” e pensai alle storiche parole di Luciano De Crescenzo in “Così parlò Bellavista”: “Gli uomini di libertà preferiscono l’albero di Natale, gli uomini d’amore preferiscono il presepe”. E nello sguardo di quell’uomo io riuscivo a leggere soltanto amore. Leggevo amore nei suoi occhi anche quando bacchetava il nostro sistema artistico: “Un musicista per essere considerato tale deve, giustamente, fare anni e anni di conservatorio. Questi, invece, fanno una scenetta e si sentono attori”. Leggevo amore perché amava il mondo del teatro e voleva il meglio per quel mondo. Più che una critica feroce, quello era il consiglio di un padre.
Lontano dalla retorica, vorrei dirgli soltanto “Ciao”. E “Grazie”.